Alla fine degli anni 70 i Motörhead erano fuori moda, con un seguito ai minimi termini e senza prospettiva. Poi pubblicarono “Overkill” e fecero il botto
Di Mick Wall
“Era molto semplice: o la va o la spacca” disse Lemmy”. Eravamo seduti nel suo salottino a Landbroke, era circa il 1984, beveva il suo cocktail di Jack Daniels e Coca Cola e fumava due sigarette alla volta. “Ci eravamo rotti le palle di essere considerati dei pagliacci, troppo metal per il punk, troppo punk per il metal. Ma vaffanculo! Non eravamo né l’uno né l’altro. Certo, fu solo qundo facemmo “Overkill” che capimmo cosa eravamo. Per noi, quello fu il disco che cambiò tutto!”.
Diciamocela tutta: Lemmy era stato negli Hawkind, Dio Santo. Nella ribollente Londra post-punk del 1979 gli Hawkind erano alla moda tanto quanto una tavoletta del cesso attonro al collo. E quei capelli: lunghi sulla schiena, e sulla faccia. E poi, facevano dischi come “Louie Louie”, col chitarrista “Fast” Edddie Clarke che imitava il riff al piano dei Kingsmen, che diciamolo, faceva schifo anche nella versione originale.
“Prima che Overkill ci salvasse, avevamo gettato la spugna almeno un paio di volte” mi raccontò Eddie Clarke poco prima di morire, nel 2018. Per noi il successo significava uscire da un concerto con qualche soldo in tasca, un grammo di speed e una canna, con una fighetta pronta a farti divertire”:
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