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NOTE SEGRETE: il libro di Michele Bovi sui legami tra la musica italiana e la criminalità

In anteprima, la prefazione del libro NOTE SEGRETE, scritto da Michele Bovi.

Il libro NOTE SEGRETE, scritto da Michele Bovi ed edito da Iacobelli Editore, indaga sui rapporti tra il mondo della canzone italiana e la criminalità organizzata. All’interno di Vinile 24 riportiamo, in anteprima, la prefazione dell’autore.

Eccola qui.

“Già negli anni Cinquanta non c’era night-club senza informatori della polizia” – racconta Jack La Cayenne, all’anagrafe di Giussano Alberto Longoni, che ha conosciuto da fantasista superstar i locali notturni in ogni angolo del mondo. “Comprensibile, visto che è di notte che la malavita si incontra e si organizza concedendosi abituali momenti di ricreazione musicale”. “Nel 1974 al Parco Lambro di Milano per il Festival del proletariato giovanile attorno alla Premiata Forneria Marconi, agli Area e a noi che ci chiamavamo Il Volo” – ricorda il maestro Vince Tempera – “c’erano più osservatori delle forze dell’ordine che appassionati di rock progressivo. Un’attenzione giustificata dai fermenti politici, culturali e generazionali, dai timori per il diffondersi dell’uso delle droghe, dal fenomeno crescente del terrorismo”. Gli ambienti della musica e, inevitabilmente, gli stessi artisti che ne rappresentano i principali animatori sono dunque sempre stati oggetto di sorveglianza. Letteratura e cinematografia ci hanno resi avvezzi a considerare i proprietari di night-club come referenti della polizia, soprattutto perché le licenze degli esercizi dipendono dalle autorizzazioni delle questure. Il discorso vale anche per i raduni musicali, i concerti degli artisti più amati dai giovani: gli organizzatori non possono prescindere dal nullaosta rilasciato dalle autorità di pubblica sicurezza. Si crea così un sistema di controllo finalizzato all’incolumità dei frequentatori e all’individuazione tra questi di cellule legate alla criminalità organizzata, con punte di interesse per il traffico di stupefacenti, di armi, per l’eversione, per il terrorismo. Non era questa la regola: a esercenti e a impresari era sufficiente dimostrare senso di responsabilità senza eccedere in soggezione o in sudditanza. Certo che il panorama nazionale dello spettacolo ci ha talvolta stupiti con accostamenti inattesi, svelando la familiarità tra boss della malavita e artisti o il coinvolgimento in piani di destabilizzazione di personaggi del mondo della musica. Spesso si è trattato di passioni innocenti dagli sviluppi inquietanti, come quella di Jimmy Fontana per le armi. Fontana è stato uno dei protagonisti del pop garbato degli anni d’oro della RCA Italiana. Suscitarono perplessità nel 1970 le immagini utilizzate a copertura di una sucanzone intitolata Melodia per il programma della Rai Il telecanzoniere, di Priscilla Contardi e Gianfranco Piccioli. Il set era un’armeria del quartiere Prati di Roma e Fontana esaminava dettagliatamente revolver e fucili da guerra mentre, in sottofondo, il suo brano gorgheggiava frasi d’amore. Un anno dopo il cantante acquistò in un negozio di Sanremo, con regolare porto d’armi, una mitraglietta Cz 61 Skorpion calibro 7.65. La stessa arma che, finita nelle mani delle Brigate Rosse, nel 1978 uccise due giovani missini in via Acca Larentia a Roma, nel 1985 sempre a Roma soppresse l’economista Ezio Tarantelli e poi, nel 1986, l’ex sindaco di Firenze Lando Conti e infine nel 1988, a Forlì, il senatore democristiano Roberto Ruffilli. Fontana fu più volte interrogato: ha sempre asserito di aver rivenduto quell’arma poco tempo dopo l’acquisto a un poliziotto. Un particolare che sorprende ulteriormente è che nella stessa armeria immortalata dal videoclip di Melodia si approvvigionavano sotto falsa identità Valerio Morucci e i compagni della sua cellula BR. Altrettanto scalpore sollevò il fatto che il nome di Ezio Radaelli, uno dei più importanti organizzatori della musica italiana – dal Festival di Sanremo al Cantagiro – potesse essere accostato, in un’istruttoria dei magistrati romani, a nomi come quello del faccendiere più volte arrestato Flavio Carboni, a quello di Enrico De Pedis della Banda della Magliana o ancora a vicende come quella dell’assassinio del giornalista Mino Pecorelli. E così i contatti tra Febo Conti – uno dei volti più rassicuranti della tv in bianco e nero, presentatore dei primi programmi televisivi per adolescenti che ospitavano cantanti – e Adalberto Titta, uomo vertice del servizio segreto clandestino definito Anello, o con i gladiatori golpisti del principe Junio Valerio Borghese, rapporti che obbligarono Conti a testimoniare al processo per la strage di Piazza della Loggia a Brescia. Insomma la musica e lospettacolo in generale non risultano isole immuni dai mali comuni agli altri ambiti sociali. E le istituzioni trattano pertanto tali settori con la medesima attenzione dedicata a quelli economici, scientifici, finanziari.

Il resto della prefazione del libro lo trovi all’interno di Vinile 24, in edicola e in digitale.

Michele Bovi

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