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Quando Paul McCartney finì in un carcere giapponese

Dopo il periodo Beatles, Paul McCartney voleva tornare a essere parte di un gruppo, fu così che nel 1971 nacquero gli Wings.

Il 29 dicembre 1979, gli Wings suonarono nell’ultimo dei quattro Concert For The People of Kampuchea all’Hammersmith Odeon di Londra – non da soli, ma come nucleo portante della Rockestra, un progetto che Paul aveva già sperimentato su due brani di BACK TO THE EGG, Rockestra Theme e So Glad To See You Here, e che comprendeva John Paul Jones e John Bonham dei Led Zeppelin, David Gilmour dei Pink Floyd, Ronnie Lane dei Faces, Kenney Jones e Pete Townshend degli Who e Hank Marvin degli Shadows. A Londra ai Wings si unirono John Paul Jones, Bonham, Robert Plant, i Rockpile, James Honeyman-Scott dei Pretenders e Townshend.

Gli Wings e il tour in Giappone

Quindi, dopo le prove dal 2 al 10 gennaio, i Wings partirono per il loro primo tour giapponese, cui doveva seguirne uno negli USA. E fu all’aeroporto Narita di Tokyo, su cui confluirono l’aereo della band, proveniente da Londra, e quello di Paul e famiglia, da New York, che avvenne il patatrac, il pomeriggio del 16 gennaio 1980.

I severi controlli antidroga della polizia giapponese trovarono 219 grammi di marijuana nei bagagli di Linda, la moglie di Paul nonché uno dei membri degli Wings. Paul si prese la colpa, fu subito arrestato e trasferito nel quartier generale della polizia, ammanettato e con una corda al collo. Il giorno dopo, come ha ricordato il batterista Steve Holley, non c’era più un manifesto del tour da nessuna parte e tutta la musica dei Wings era scomparsa dalla radio.

Il 18 gennaio Paul fu trasferito nella cupa prigione Kosuge, un edificio del XIX secolo nel centro di Tokyo, scortato dalla polizia antisommossa che teneva lontane centinaia di giovani fan che urlavano: “Paur! Paur!” (un ipercorrettismo dovuto alla nota difficoltà giapponese con le consonanti l e r).

Fu rilasciato solo il 25 gennaio: aveva perso quasi 300.000 sterline, due tour e una band. In fondo, aveva avuto quello che voleva. Come ammetterà nel 2000 a sua figlia Mary, in un’intervista tv:

Era quasi come se volessi farmi beccare.

Tornato a casa, Paul sfogò la frustrazione della detenzione scrivendo delle memorie sui suoi 9 giorni di detenzione, Japanese Jailbird:

Non ne ho mai fatto niente. Solo delle copie per i miei figli. Mi piace com’è scritto, è un piccolo libro, ventimila parole, ma per me sono tante. Fu catartico.

Renzo Stefanel

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Renzo Stefanel

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