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Ozzy Osbourne racconta la sua paura più grande

Principe delle tenebre, icona metal, ex frontman dei Black Sabbath e attualmente (di nuovo) solista, Ozzy Osbourne ci racconta la sua paura più grande.

Sediamo nella sua casa di Los Angeles, dove Ozzy Osbourne ha trascorso la maggior parte dell’anno passato. Non era il suo piano, ma quando una caduta ha aggravato una vecchia frattura da corse in Quad, è stato costretto a cancellare i concerti previsti per il 2019. Purtroppo, da allora, c’è stata la conferma che sta anche lottando contro il Parkinson. Un risultato di questo stop forzato ai tour è ORDINARY MAN, il potente disco solista che ha realizzato con il produttore Andrew Watt. “Stavo implodendo a livello emotivo” spiega Ozzy. “Stravaccato sul divano tutti i giorni, a fare sempre le stesse cose... ti entra in testa, e a quel punto la tua testa non ti dice mai nulla di carino. O almeno, la mia mi dice: ‘È finita. Morirai...’. Ma per fortuna è arrivato questo disco e, beh, mi ha salvato la vita”.
Parliamo di ORDINARY MAN: è la tua paura più grande? Morire da persona normale?
Più o meno... Quando ho iniziato questo mestiere, diciamo che fino a quel momento ero un tipo normale. La musica mi ha dato tutto. Non ho un trucco magico. Non so perché sia successo, o come. Credo che fosse semplicemente il mio destino. Iniziammo a suonare allo Star Club ad Amburgo, sai, dove suonavano i Beatles. Sono stati i Beatles a darmi la spinta. Non ci saranno mai altri Beatles.
Ma sei preoccupato che la generazione più giovane si scordi di te?
Be’, se mi ricordano bene, se no... non l’ho fatto per essere ricordato. L’ho fatto per far divertire un po’ la gente.
Comunque, una persona normale probabilmente non vivrebbe in una casa stupenda come questa.
Non sono una persona normale. Avrei dovuto intitolare l'album “Non Voglio Morire Da Persona Normale”. Comunque, con tutto il mio successo non mi piace pensare di essere uno che se la tira. Non sono tipo da dire: “Dammi questo, dammi quest’altro”. Non è da me. Faccio ancora da me, se posso. Ma vorrei poter fare di più.
Qual è il senso della vita?
Alla fine della giornata, poterti guardare indietro e dire: “Ho fatto a modo mio”. Ho 71 anni. Se mi guardo indietro, mi accorgo che un sacco di gente se n’è andata. Gary Moore era un mio grande amico. Mi sbronzavo con John Bonham, e anni fa l’alcool l’ha ucciso. Ma oltre a loro, sono morti un sacco di altri grandi musicisti.
E questo non ti rende nostalgico, o malinconico?
No. Come dico sempre, non so perché io sia ancora vivo. Loro non hanno fatto certo peggio di me. E io non ho fatto peggio di loro. Ci sbronzavamo, facevamo feste folli, tutti allo stesso modo. Ho avuto la fortuna di non restare soffocato dal mio vomito, come Bon Scott [ve ne abbiamo parlato in questo articolo]. Anche lui era un grande amico. E un grande cantante.
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