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“Keith Moon non ha ucciso mio padre”

Il 4 gennaio 1970, Neil Boland viene investito davanti al Red Lion, e Keith Moon viene accusato di omicidio. Anni dopo, la figlia di Boland scopre una versione taciuta dei fatti.

Michelle Boland ha quattro anni quando il padre Neil muore. Lui ne ha venti di più, e lavora come autista personale del batterista degli Who. I due, oltre che colleghi, sono amici, e quella sera sono entrambi al pub Red Lion di Hatfield, con il resto degli Who.

Quella sera, a quanto si racconta, all'esterno del locale scoppiò una discussione accesa tra Moon e un gruppo di skinhead. Il batterista salì in macchina e con una manovra fatale colpì e uccise il suo autista Neil.

Moon venne accusato di omicidio colposo, per poi essere assolto con formula piena. Famoso in merito è l’infelice titolo di «Rolling Stone» dell'epoca: Keith Moon Gets Off Easy. In realtà, a quanto racconta Pamela Des Barres – sua compagna per tre anni – l'incidente fu un'ombra costante nella vita di Keith. La ragazza raccontò di averlo sentito piangere e ripetere di essere un assassino per molte notti.

La storia, però, non finisce qua. Passarono gli anni e la figlia di Boland divenne una donna. Iniziò a cercare la verità sulla morte del padre, provò a contattare i testimoni oculari di quella sera. Le rispose Peter Thorpe, raccontandole una storia sorprendente.

Peter non era uno skinhead, né lo erano i suoi amici. Quella notte erano al Red Lion per ascoltare gli Who.

Finita la serata, un suo amico vide Kim Moonmoglie del batterista – salire a bordo di una Bentley e le chiese scherzosamente un passaggio. La ragazza reagì mandandoli a quel paese, e una volta partita i giovani lanciarono delle monetine sul tetto dell’auto. Questa si fermò all’improvviso, e Neil Boland scese: la discussione si fece più accesa. Nel frattempo, qualcuno si mise alla guida dell’auto,e Thorpe vide chiaramente Kim Moon al volante guidare senza controllo verso di loro.

Neil Boland non riuscì ad allontanarsi e venne investito: tutti gli aiuti furono inutili.

Così scrisse Thorpe a Michelle:

Ho sempre pensato che Keith stesse cercando di prendersi la colpa, ecco perché disse che stava guidando lui. Se avessimo avuto migliori avvocati, la verità sarebbe potuta venire a galla. Adesso so chi sei e posso solo dire che mi dispiace per quello che è successo a tuo padre quella notte, e spero che tu mi creda.

Michelle incontrò il testimone Peter Thorpe e indagò ancora, riscontrando le stesse parole negli altri ragazzi partecipi quella sera. Nessuno di loro aveva visto Keith alla guida, come avevano dichiarato alla polizia allora. La figlia di Boland ha aperto recentemente un sito web in cui racconta la sua ricerca e invita chiunque fosse nell'auto a contattarla.

Spesso non è possibile togliere la patina del pettegolezzo e la confusione creata dalla stampa riguardo alle vite delle rockstar, e restituire gli eventi alla verità. Questa ragazza ci ha provato, e pensiamo che tra le tante versioni della storia, che corrisponda ai fatti o no, questa possa essere la più libera da secondi fini.

Claudia Marzetti

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Claudia Marzetti

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