“The Quiet Beatle” è un soprannome che echeggia il “Quiet One” dei Rolling Stones, Bill Wyman: sembra che quasi ogni band ne abbia uno, a pensarci bene. Qualcuno che voleva solo fare musica, e che sembrava disinteressato a tutti gli effetti collaterali di essere una rock star internazionale. Questa descrizione calzava a pennello a George Harrison, che in realtà non prestava troppa attenzione ai riconoscimenti di carriera.
L’impressione è confermata dalle parole del figlio Dhani Harrison, che vedeva suo padre passare tutto il giorno in giardino a prendersi cura delle proprie piante e iniziò a credere che il padre fosse un giardiniere. Con Harrison c’erano dieci giardinieri professionisti, per aiutarlo a curare i 36 acri della sua tenuta, e ai giardinieri di tutto il mondo era dedicata la sua autobiografia I, Me, Mine. (A proposito, non è la lettura adatta a chi vuole solo sapere qualcosa in più sui Beatles: nel libro sembra che la band sia ormai solo una eco, e si concentra invece sugli hobbies di George).
Per il chitarrista, il giardinaggio era come una fuga dal mondo:
A volte mi sento davvero come se fossi sul pianeta sbagliato; è bellissimo quando sono nel mio giardino, ma il minuto stesso che oltrepasso il cancello penso ‘Che diavolo ci faccio qui?'.
Eppure Harrison avrebbe potuto vantare un posto di spicco nel mondo esterno: Rolling Stone lo classificò 11esimo nella lista dei 100 migliori chitarristi di tutti i tempi; con i Beatles aveva suonato i classici Something, While My Guitar Gently Weeps e Here Comes the Sun, mentre la sua carriera da solista era illuminata dall’album ALL THINGS MUST PASS, colmo di brani degni di nota come My Sweet Lord; con Tom Petty, Bob Dylan, Jeff Lyne e Roy Orbison aveva formato gli amatissimi Traveling Wilburys… e questi sono solo alcuni dei risultati della sua carriera.
Ma come disse il figlio in un’intervista a Rolling Stone,
Le uniche due cose che sentiva di dover fare nella sua vita erano essere felice e meditare.
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