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Da dove viene il nome dei Van Der Graaf Generator?

Una delle band più iconiche degli anni Settanta trae il suo nome da un'importante invenzione fisica, la cui potenza si incanala in uno stile musicale unico nel suo genere. Volete saperne di più?

I Van Der Graaf Generator sono una band amatissima dal pubblico italiano. Tanto che, nel 2020, hanno voluto ripercorrere, a trent'anni di distanza dall'uscita del loro album d'esordio, un tour nel Bel Paese che rievocasse la frenesia incendiaria del 1972. Quando il gruppo inglese venne per la prima volta in Italia, infatti, il pubblico impazzì in una svolta turbolenta frenata dai lacrimogeni e seguì un ampio successo di critica sulle riviste specializzate, che i musicisti non si sarebbero mai aspettati. Il loro quarto album, PAWN HEARTS (1971), rimase nelle classifiche italiane per 12 settimane. 

In breve tempo quindi, quella band dal nome lunghissimo, diventò un fenomeno collettivo e internazionale. E tutto partì da un'assoluta originalità che graffiava la concorrenza. Perchè i Van Der Graaf Generator si appellavano a uno stile ibrido, tra heavy metal, musica classica, jazz, folk e una forte componente dark, esoterica e fantascientifica. Il loro sound richiamava quello dei King Crimson, con la differenza che davano il ruolo da leone alle tastiere e ai sax, laddove David Jackson riusciva a suonarne due in contemporanea ispirandosi al musicista jazz Roland Kirk.

E poi c'è quel nome, dalla genesi così particolare da diventare iconica. 

Questo si appella all'inventore statunitense Robert Jemison Van Der Graaff, che nel 1930 diede origine a un particolare generatore elettrostatico in grado di accumulare un'ingente quantità di carica elettrostatica. La strumento mette in collegamento, attraverso una cinghia mobile di materiale isolante, due rulli. Uno collocato alla base della macchina e l'altro all'interno di una sfera cava al vertice del macchinario. Le cariche statiche generate per strofino alla base vengono trasmesse così trasmesse sulla cinghia, che le porta alla sfera.

Qui si genera un campo elettrico dato dall'accumulo di energia, che poi viene scaricata lungo la cinghia. Insomma, un procedimento meno complesso di quanto si possa spiegare, che si traduce simbolicamente nello stile musicale dei VDGG. 

Così il gruppo guidato da Peter Hammill accompagna la sua musica in un climax drammatico e profondo che freme sotto la carica elettrica di un simbolismo tradotto in sonorità stranianti e perfettamente calibrate. E come un esperimento fisico, il loro sound rifugge da una definizione estetizzante per approdare alla pura bellezza performativa. 

Con uno stile complesso, voluttuoso, indeterminato i VDGG ci mostrano luci e ombre del rock, in un'indagine sperimentale che profuma di rivoluzione. Forse si sentì così Van Der Graaff, a cui la band ha tolto una -f-, quando si addentrò nei meandri di una potente e indomabile carica elettrostatica. 

Francesca Brioschi

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