Categories: ArticoliProg

I Grateful Dead e quel brano dai mille volti

Una canzone non nasce e cresce nella chiusura spaziale della sua composizione originaria, ma può dare sfogo a improvvisazioni ed espansioni creative. Lo dimostrano i Grateful Dead con Dark Star

Tutto inizia da quell'immagine esoterica che riposa in un culto dell'antico Egitto: il Morto Riconoscente. Così, in un quartiere di San Francisco, si sedimenta l'anima lisergica, rurale e intellettualistica dei Grateful Dead. Un gruppo che accoglie l'eredità flower power dei Sixties e al tempo stesso si proietta verso la dimensione avanguardistica dei primi anni '70.

L'esordio musicale del gruppo con l'album GRATEFUL DEAD (1967) sfocia, lo stesso anno, in un altro sfogo creativo, con un'esibizione live molto particolare. 

Siamo alla Shrine Exposition Hall di Los Angeles dove i Grateful Dead portano alla luce per la prima volta un capolavoro in musica tratteggiato a maggio. Il suo nome è Dark Star e inizialmente nasce come un brano di due minuti e quaranta, inconsapevole di raggiungere in futuro un'estensione iconica fino a oltre trenta minuti.

Tutto ha ordigine quando Jerry Garcia, Bob Weir, Phil Lash, Bill Kreutzmann e Ron McKernan sostavano a Rio Nido, in California, per le prove in vista del loro primo album. E qui, il paroliere Robert Hunter, semplicemente lasciandosi trasportare dalla musica, scrisse le parole di una canzone surreale, onirica, spaziale e psichedelica. 

Si dice che Hunter fosse stato ispirato dal componimento del poeta T.S EliotIl canto d'amore di J. Alfred Prufrock ma, a conti fatti, il paroliere affermò di non avere la minima idea di cosa avesse scritto, in senso buono ovviamente. Le parole erano così fluite in immagini trascendentali e spiritiche, ingoiate da un interminabile buco nero di emozioni vibranti. Espressioni come crepuscolo transitivo di diamanti sono solo sfogo di una bellissima complicità di parole e musica. Perché Dark Side offre una base musicale e narrativa potenzialmente integrabile all'infinito in un ginepraio di luci, suoni e rumori che si abbandonano tra rock, jazz, blues, folk e psichedelia. Un vero e proprio viaggio, tra le dimensioni sconosciute di una mente allucinata. 

Per questo, il brano non ha mai conservato la stessa versione della sua nascita, mostrando poliedrici volti nelle 250 volte in cui è stato eseguito. E la più celebre è sicuramente quella che appartiene all'album LIVE/DEAD del 1969, in cui il pezzo, sotto l'egida eclettica della chitarra di Garcia, raggiunge i 23 minuti. Poi trascolora nella mezzora, fino a divampare in un'apoteosi di cinquanta minuti. E con questa vocazione multiforme continua a occupare le scalette degli energici live e ad essere acclamato dal pubblico.

Fino al 1974, quando scompare dalle performance, in quanto Garcia dichiara di non poter più trarre succo creativo da quel brano.  

Francesca Brioschi

Share
Published by
Francesca Brioschi

Recent Posts

L’intervista a Fabrizio De André mai pubblicata | VINILE

Roberto Manfredi ha tirato fuori dal suo archivio una lunga intervista a Fabrizio De André…

8 ore ago

King Crimson: com’è nata la cover di IN THE COURT OF THE CRIMSON KING

Ci sono alcune art cover che non solo hanno scritto la storia, ma ne hanno…

1 giorno ago

Ian Anderson: “Ecco perché il Punk non ha ucciso il Prog”

Ian Anderson ha una teoria particolare per la quale il rock progressivo e i Jethro…

2 giorni ago

God save the QUEEN: la tribute band argentina arriva a Milano!

Il tributo argentino di una delle band di rock più famose al mondo è semplicemente…

2 giorni ago

THE WITCHES SEED: l’opera rock di STEWART COPELAND a Milano!

La spettacolare e immersiva opera Rock di STEWART COPELAND, con IRENE GRANDI e alcuni brani…

3 giorni ago

10 segreti di Freddie Mercury | CLASSIC ROCK

Freddie Mercury era una persona meravigliosa che ha lasciato un segno in chiunque incontrasse. Ecco…

4 giorni ago

This website uses cookies.