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Le curiosità dietro le prime copertine dei Gentle Giant

I giganti gentili del progressive sono una perla rara, spesso oscurata dall'egida di gruppi più celebri come i Genesis e gli Yes. Tuttavia la band britannica affiora per la perizia compositiva e la raffinatezza sonora. Elementi che contraddistinguono anche le loro fiabesche copertine. 

L'alba del 1970 apre le sue porte al progressive rock, decretando una nuova intenzionalità artistica, di matrice britannica, che riposa fuori dai tradizionali schemi compositivi. A impreziosirne da subito le sfumature sono i Gentle Giant, in origine catarchica triade sotto il nome Shulman, composta da Derek alla voce, Ray su violino, basso e chitarra e Phil agli ottoni.  Si uniscono poi il batterista Martin Smith, il chitarrista blues Gary Green e il tastierista e violoncellista Kerry Minnear. Nasce così un brillante e coraggioso quadro  musicale, che fa dell'espressività e della ricercatezza linguistica i portavoci di un'inedita forma compositiva. 

Sua regina è la specificità strumentale, per cui ogni brano colleziona una particolareggiata e studiata scelta sonora, firma inconfondibile dei Gentle Giant. Ne derivano storie in cui musica classica, orientale, jazz, blues e rock si fondono in una dimensione medievale e fantasiosa. Non a caso il simbolo della band è un gigante dallo sguardo buono, che incornicia l'elegia delicata ritratta sulle composizioni del gruppo. E quell'omone, richiamo di matrice letteraria all'opera Gargantua e Pantagruel dello scrittore francesce cinquecentesco François Rabelais è una dichiarazione stilistica ed estetica. 

Perché la capacità comunicativa trascendentale dei Gentle Giant si appoggia anche a una fine scelta artistica. Così, ogni copertina dei loro album è una piccola opera d'arte. Sin dall'esordio, GENTLE GIANT (1970), affidato dalla penna di George Underwood, artista note per le scelte iconiche di alcuni big del rock come David Bowie e Marc Bolan con i suoi T-Rex. Così quel gigante stempiato dagli occhioni azzurri tiene tra le sue mani la band, offrendola al pubblico con devozione e ammirazione. In questo modo nasce l'icona che proietta i suoi artefici dall'immaginario dei loro testi alla concretezza dell'immagine. 

Il secondo album, ACQUIRING THE TASTE (1972), cambia invece direzione, immortalando una prospettiva più provocante e accattivante. Una volta percepita la poesia armonica delle suite della band, il passo successivo è addentare un primo morso di quella corposità musicale così avanguardista e rivoluzionaria. Per questo la copertina ritrae una sinuosa lingua protesa verso un frutto accoltellato. E l'immagine in questione è indubbiamente più pregante dopo un esordio gentile e lirico. Loro stessi hanno affermato: 

Il nostro obiettivo è espandere i confini della popular music contemporanea, a rischio di essere molto impopolari. Abbiamo registrato ogni composizione con un unico pensiero – che fosse unica, avventurosa e affascinante.

Ma all'orizzonte spunta già un nome leggendario delle artwork progressive: Roger Dean. Sua è la doppia copertina di OCTOPUS (1974), quarto album del gruppo e, a detta della critica, vera summa orchestrale del loro stile. Così Dean abbraccia una dimensione mostruosa, ma magnifica, disegnando un immenso polipo in una realtà burrascosa, marina e fantascientifica. Mare e cielo notturno si avvolgono in un limbo dove tutto è possibile, come dimostra l'abilità tecnica e creativa dei Gentle Giant. 

Tuttavia il disco non fu venduto con lo stesso artwork in America e Canada, dove invece la cornice pittorica fu affidata a Charles White, che racchiuse l'iconico polipo in un barattolo con cromatismi più acerbi.  Ma qualunque sia l'ispirazione artistico-culturale dell'illustratore, il bellezza eterna trae la sua magia dall'apoteosi ipnotica ed eclettica che i Gentle Giant, come pochi, sanno offrire alla contemplazione acustica

Francesca Brioschi

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Francesca Brioschi
Tags: Gentle Giant

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