Nel 1982 la EMI dà alle stampe il terzo album degli Iron Maiden, THE NUMBER OF THE BEAST, pregno di ispirazioni cinematografiche. Così Children Of The Damned si riallaccia al sequel omonimo del film del 1960 di Wolf Rilla, Village Of The Damned. La terza traccia invece, The Prisoner, omaggia l’omonima serie televisiva del 1967, riedita nel 2009. E non è finita, perché la ciliegina sulla torta la offre la title track. Sembra infatti che The Number Of The Beast sia nata da un incubo del bassista Steve Harris dopo aver visto la pellicola horror del 1978, La Maledizione di Damien. Così è quasi d’obbligo che l’iconico videoclip del brano accolga una tessitura di numerose references filmiche. Scopriamole qui.
Primo lungometraggio della selezione in ordine cronologico, e primo fotogramma che appare nel videoclip, tratto dalla pellicola horror anni Quaranta, governata dalla vampiresca presenza dell'attore Bela Lugosi. Nel video un inquieto lupo mannaro si aggira in un sinistro cimitero, fino ad arrivare alla tomba del vampiro Armand Tesla, pronto a essere liberato e a sfamare la sua sete di sangue. E il primo mostro non si scorda mai.
Secondo in ordine di apparizione è il caprone antropomorfo della trasposizione cinematografica de Il battesimo del diavolo (The Devil Rides Out), romanzo horror del 1934 di Dennis Wheatley. Qui la focalizzazione si concentra sulle arti occulte di una setta satanica, in piena linea con l'urlo del 666 cantato da Bruce Dickinson. E dopo il primo verso di quest'ultimo affiora il caprone, seguito dall’attacco alla chitarra di Dave Murray. E non è la sua unica apparizione: l'immagine caprina iconica è riportata dagli Iron Maiden anche in alcuni concerti.
In questo caso la reference è un serial a sfondo mistery-thriller, lanciato in 12 episodi nel 1946 e incentrato su un ambiguo criminale mascherato, The Crimson Ghost. Quest’ultimo ha come scopo il furto del Cyclotrode, uno strumento creato con l'intento di destare lo stesso devastante effetto della bomba atomica. E nel videoclip il teschio incappucciato appare circa al minuto 1:12, in sovrimpressione al volto di Dickinson, per poi dissolversi e ricomparire più avanti. Un volto non facilmente dimenticabile.
È dunque il turno di un'accoppiata di iconici mostri alla fine degli anni Cinquanta: il Lupo Mannaro e Frankestein. Questi ultimi sono i fiori all’occhiello di un make up artist di cinema horror che, licenziato per il successo della commedia a Hollywood, decide di ipnotizzare gli attori che incarnano le sue creature e renderli assassini al soldo della sua vendetta personale. Così un rocambolesco Frankestein, in un volto di stracci, compare in un primo piano fulmineo del videoclip, per poi accompagnarsi al Lupo Mannaro in un duetto da sitcom con tanto di titolo del film.
Dalla fantascienza giapponese affiora invece il pioniere dell'epopea narrativa dei mostri, nella prima apparizione sul grande schermo, all'apice di una costellazione di fortunati remake. Così Godzilla, nelle sue intramontabili vesti colossali, troneggia in un fotogramma sullo sfondo del palco su cui si esibisce la band nel video. Così coagula la sua natura atomica in una gigantografia tra fuoco e fiamme, proprio nel momento in cui Dickinson canta “Torches blades and sacred chants were praised” (Le torce ardevano e i canti sacri venivano lodati).
Restando in tema di giganti creature terrifiche, ci affidiamo al titolo di un cult del 1958 che parla da sé. Si tratta del sequel di The Amazing Colossal Man (1957), che affonda le unghie nel florido terreno del genere fantascientifico, con un protagonista sfigurato da un tragico incidente. Lui è il Gulliver metropolitano, sedato dall'esercito e ottenebrato da un cervello violentemente alterato dal trauma, che lo conduce in un turbine distruttivo.
Ma la tradizione sci-fi del cinema anni Cinquanta accoglie anche episodi di fantasmagoria thrash, dove spicca una missione spaziale su Marte, The Red Planet, affollato dall’immaginario orrorifico e mutante che solo una mente ardita può partorire. Pensiamo al mostro dal corpo da pipistrello e le gambe aracnoidi, che capeggia sullo schermo dietro il palco al minuto 3:52, seguito da una figura indiavolata. Non per un pubblico impressionabile, insomma.
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