La serata in cui i Megadeth presentarono il loro secondo disco iniziò trionfalmente e si concluse con una scazzottata. Era la fine dell’estate del 1986 e il gruppo, formato tre anni prima dall’ex chitarrista dei Metallica Dave Mustaine, stava per fare il suo ingresso nella serie A del thrash metal. La loro nuova etichetta, la Capitol, aveva affittato il Fire Fly bar di Hollywood, per svelare il contenuto del disco, una sciabolata di metal velenoso e socialmente aggressivo intitolata PEACE SELLS… BUT WHO’S BUYING?. Erano anche state noleggiate un paio di limousine per il gruppo – una per Mustaine, il bassista Dave Ellefson e le rispettive accompagnatrici, l’altra per il chitarrista Chris Poland e il batterista Gar Samuelson con le loro dolci metà.
La festa andò liscia come l’olio. Per tutta la sera, il gruppo bevve il bevibile e sniffò lo sniffabile, mentre il disco tuonava dagli altoparlanti del locale. I problemi iniziarono alla fine. Le ragazze dei quattro se n’erano già andate, lasciando il quartetto a dividersi l’unica macchina rimasta.
“Ci stringemmo nell’unica limo”, ricorda Mustaine, “e quasi subito iniziammo a litigare. Di colpo mi ritrovai a prendere a calci Chris Poland, il che può darvi un’idea dei nostri rapporti all’epoca”. Per i Megadeth, in fondo, quella era stata una serata nel loro tipico stile. Guidato dall’incontrollabile Mustaine, il gruppo portò nel thrash un elemento di furia esplosiva.
Se nella commedia recitata sulla scena thrash i Metallica impersonavano i re delle feste, gli Slayer i satanisti da fumetto e gli Anthrax i buffoni di corte, i Megadeth si imposero come una gang di rabbiosi delinquenti. Il fatto che siano stati in grado di realizzare uno dei dischi simbolo di quel periodo è abbastanza sorprendente, ma il fatto che addirittura siano riusciti a farlo senza uccidersi a vicenda è un autentico miracolo.
“Dave e io non avevamo un piano B”, dice Dave Ellefson. “Non c’era via di fuga. Niente del tipo ‘Se questo non funziona, allora facciamo quest’altro’. Eravamo con le spalle al muro, e questo ci diede la spinta per realizzare PEACE SELLS”.
Mustaine è più sintetico: “Abbiamo fatto un sacco di cazzate. Sono felice che siamo ancora tutti vivi”. Dave Mustaine è uno dei grandi sopravvissuti del rock. Invece di scivolare nell’oscurità quando fu cacciato dai Metallica (proprio quando erano a un passo dal trionfo) per via degli innumerevoli litigi provocati dal suo alcolismo, focalizzò la sua rabbia in un nuovo gruppo, Megadeth. Da allora è stato il portavoce del gruppo, la forza che lo ha spinto sempre avanti e che gli ha permesso di resistere a tutte le avversità, superando rivalità velenose, tossicodipendenze e una sfilata quasi infinita di batteristi e chitarristi.
Oggi Mustaine è più vecchio, ma sempre imprevedibile. Onesto e sfuggente, appassionato e freddo, è un gatto selvatico sempre sul chi vive: un passo falso e ne assaggi gli artigli. Fa tutto parte della sua reputazione: Dave Mustaine contro il mondo. O forse, il mondo contro Dave Mustaine. “Non ho mai pensato fosse così”, dice. “Anche se un sacco di gente viene da me e mi dice: ‘Perché ce l’hanno sempre con te?’. Io ci rido sopra, perché se possiedi qualcosa che gli altri vorrebbero avere, è normale che cercheranno di fregartela. Succede anche nello sport: se vinci, ti attaccano. Le cazzate dette dalla gente non mi toccano”. Fu questo atteggiamento alla “niente stronzate, prego” che impose da subito i Megadeth all’attenzione di tutti. Il loro disco di esordio, KILLING IS MY BUSINESS…AND BUSINESS IS GOOD (1985) bilanciava un sardonico spirito punk con un sound teso e deciso di quelli che perfino i Metallica potevano solo sognarsi.
Il disco era stato registrato con un budget di appena 8000 dollari, e si sentiva. Ma per Dave Mustaine i soldi – o la loro mancanza – non rappresentavano un problema. “Una delle cose che ho sempre apprezzato in Dave è la sua capacità di avere sempre presente il quadro generale”, ci dice Ellefson, che nel 1983 fondò i Megadeth assieme a Mustaine. “Per quanto fossimo pezzenti, sfigati e vagabondi, lui aveva sempre un invincibile ottimismo”.
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