Il nuovo numero di CLASSIC ROCK è qui!

"È ridicolo, comico e triste che certa gente abbia impiegato tanto del proprio tempo a pensare a qualcun altro. E poi, a chi? A me? Fatevi una vita, per cortesia”. Così tempo fa Bob Dylan liquidò tutti quelli che da anni si sforzano di interpretare il significato delle sue canzoni. Ma si sa, Dylan è sempre stato e ancora oggi desidera restare inafferrabile, quindi la sua uscita sarcastica non sorprende più di tanto. In realtà, che a lui piaccia o no, ogni fenomeno artistico viene prima o poi storicizzato e diventa oggetto di studio, di analisi e di interpretazione. E non c’è dubbio che oramai anche il rock, una settantina di anni dopo la sua comparsa, si trovi in questa situazione. Ben vengano dunque approfondimenti e riflessioni utili a inquadrarlo meglio e, magari, a presentarlo nel modo giusto alle nuove generazioni, a chi non l’ha conosciuto se non di riflesso e di seconda o terza mano. In questi giorni sto leggendo un libro che riguarda, guarda caso, proprio Bob Dylan. Un libro che fin dal titolo susciterebbe in lui commenti feroci, ma che a mio avviso ogni dylaniano farebbe invece bene a leggere. Mi riferisco a Bob Knows.

Conversations with Dylanologists. Lo ha scritto Marco Zoppas, un traduttore e insegnante di inglese trevigiano trapiantato a Roma, già autore di Ballando con mr. D (dove nel 2016 previde prima di tutti l’assegnazione del Premio Nobel a Dylan) e di Da Omero al rock. Anziché limitarsi a scrivere di Dylan, stavolta Zoppas ha conversato con alcuni dei dylanologi più riconosciuti a livello internazionale: giusto per fare qualche esempio, con Graley Herren (docente di Inglese alla Xavier University della Louisiana) ha rivoltato come un pedalino TIME OUT OF MIND; con Stephen Daniel Arnoff (CEO del Fuchsberg Jerusalem Center, un centro religioso e culturale di Gerusalemme) ha discusso della eredità spirituale di Dylan; con Aubrey L. Glazer (rabbino capo della Congregazione di Beth Abraham di Dayton, Ohio) ha accomunato in una riflessione sulla cabala Dylan, Leonard Cohen e Stanley Kubrick; con lo scrittore e musicista Giulio Pantalei ha sottolineato le “affinità elettive” esistenti tra Dylan e David Lynch; con lo storico inglese Phil Mason (uno dei suoi libri s’intitola Napoleon’s Hemorrhoids: And Other Small Events that Changed History) ha affrontato il tema del messaggio cristiano di Dylan. Insomma, tutto fuorché il solito bla-bla al quale siamo abituati quando si tratta di libri su icone del rock. Il lavoro di Zoppas mi ha colpito molto, anche perché conferma ciò che da tempo stiamo sostenendo in queste pagine: che il rock è un universo ancora tutto da raccontare. E che non esiste un solo modo di farlo."

Maurizio Becker

 

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