“Thanks for making the first Pineapple Thief show in Rome so special” ringrazia Bruce Soord. Largo Venue è pieno, il pubblico, estremamente caloroso per gli standard italiani, è composto da persone di tutte le età con tanti under 40. Buone notizie per la buona musica oggi a Roma. Quella che forse è la migliore prog band dei giorni nostri incanta ed esalta per oltre una ora e mezza.
Gavin Harrison è la star, lo sanno anche i suoi compagni di band. Nel saluto ai fan del VIP package Gavin guida i compagni camminando davanti a tutti e firma pazientemente le decine di vinili che gli portano, mentre gli altri lo guardano: “Gavin is always very busy” ci dicono. È ovvio che il VIP package sia tutto per lui: un fan romano chiede una foto inginocchiato davanti a Gavin in divertita, ma sincera, adorazione. Le pelli firmate della sua batteria vanno a ruba al tavolo del merchandise. Anche il mixaggio sembra fatto apposta per esaltare il suo contributo: metà del pubblico non gli stacca gli occhi da dosso un solo istante. Rispetto ai King Crimson, dove è parte (fondamentale) di una orchestra, qui i suoi tamburi sono il centro della musica.
Con lui, i TPT hanno trovato la formula che li ha fatti entrare nelle charts, ma tutta la band e la loro proposta musicale sono di valore, dimostrandolo in concerto. Peccato che basso e chitarre acustiche scompaiano nel mix di Largo Venue. In compenso, le tastiere disegnano l’atmosfera (con tanto mellotron) e i soli di chitarra le sferzano, dando momenti di grande elettricità. La voce di Soord fluisce senza sforzi e grandi acuti ma entra dentro l’ascoltatore. I TPT viaggiano tra il prog sinfonico e melodico dei ’70, i Porcupine Tree e i Radiohead, creando un sound originale che prende da tutti e non assomiglia a nessuno.
Guardandoti attorno nella folla si notano sessantenni che hanno visto l’ascesa e la caduta del prog; critici musicali affermati che sul tema hanno scritto libri; giovani coppie che si stringono e si baciano; giovani batteristi estasiati: “torno a casa e appendo le bacchette al chiodo”, dice uno accanto a me! E invece tornerà a casa e si rimetterà i TPT in cuffia seduto nel suo sgabello cercando di capire come quegli stacchi, quelle rullate siano possibili per noi umani. “Gavin Harrison è Dio”, si potrebbe dire, ricorrendo ad espressioni che una volta si usavano solo per i chitarristi. Se si crede al Dio della batteria, difficile pensare ci possa essere un altro profeta in terra.
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