Alla fine degli anni 70 il vento del cambiamento aveva spazzato via il rock progressivo in ogni parte del mondo, Italia compresa. Mentre la PFM e il Banco si orientarono verso la forma canzone, più semplice e abbordabile, Le Orme optarono invece per una soluzione più coraggiosa e originale: tornare alle proprie radici musicali, che, per il gruppo veneziano, significava la grande tradizione della Musica Classica Italiana.
Fu così che Toni Pagliuca abbandonò tastiere e sintetizzatori per perfezionare lo studio del pianoforte e del clavicembalo, mentre Aldo Tagliapietra si dedicò al violoncello, senza peraltro abbandonare le chitarre acustiche; Germano Serafin cominciò a studiare il violino e Michi Dei Rossi le percussioni orchestrali. Fu da questo studio che nacque l’idea di realizzare un disco interamente acustico, che prese il nome dal più antico e famoso caffè di piazza San Marco: il Caffè Florian.
L’album presenta sette tracce: la prima, la title-track, funge da introduzione programmatica, l’ultima, El Gran Senser, è invece dedicata alla tradizionale saggezza veneziana. Entrambe sono interamente strumentali.
Se Jaffa è una denuncia contro le implacabili e imperscrutabili esigenze del mercato, in nome delle quali ogni anno vengono mandate al macero tonnellate di frutta mentre nelle zone più povere del pianeta si fatica a rendere fertile la terra, Il mago e Calipso rappresentano una raffinata critica antiamericana. Pietro il pescatore ha come bersaglio il ruolo della Chiesa, che non riesce più a dare risposte ai problemi quotidiani dell’uomo.
Fine di un viaggio affronta metaforicamente la fine di un’epoca, grazie al ripescaggio del Mr. Tambourine Man di Bob Dylan, la cui “nave magica è un relitto ormai”, mentre il verso “le tue ombre inutili, nessuno segue più” è un chiaro riferimento alla droga, che ancora imperversava nel mondo dei giovani, e contro l’uso della quale Le Orme si erano già scagliate con il brano Vedi Amsterdam in VERITÀ NASCOSTE (1976)
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