Transiberiana: l’intervista a Vittorio Nocenzi

Il Banco del Mutuo Soccorso torna al disco in studio dopo 25 anni. Ne parliamo con Vittorio Nocenzi.

Un estratto dell’intervista di Luca Fassina tratto da Classic Rock 78, in edicola e in digitale.

Vittorio Nocenzi, unico membro fondatore del Banco del Mutuo Soccorso e suo maggior compositore, si racconta all’uscita di un nuovo concept album, TRANSIBERIANA. Al suo fianco la riconferma dei chitarristi Filippo Marcheggiani e Nicola Di Già, assieme a tre new entry: Fabio Moresco alla batteria, Marco Capozi al basso e Tony D’Alessio alla voce.  Senza dimenticare l’essenziale collaborazione con il figlio Michelangelo.

Da dove nasce la fascinazione per la Transiberiana?
Dal mio amore per un viaggio così lungo e periglioso, dal fatto che si presta bene come metafora al percorso di una vita. Io sono un pentito dell’attività concertistica: negli ultimi quindici anni, il Banco si è fatto coinvolgere dall’amore per il proprio pubblico e per la performance a discapito di composizione e registrazione.

Avevo voglia, bisogno di riequilibrare questa bilancia, di riprendere la tradizione ripartendo dalla grande lezione della trilogia iniziale, dal SALVADANAIO sino a DARWIN. Non volevo una compilation di brani staccati, ma un concept: ho capito che come compositore ho bisogno di un racconto ampio, di una narrazione allargata.

Quindi, TRANSIBERIANA è un’auto-biografia?
È la metafora della nostra vita. Ad esempio, ricordando i nostri anni 60 troviamo un pezzo di tenerezza struggente come Campi di fragole, un omaggio ai Beatles che ci sta bene, perché il resto del disco è molto denso. La musica deve esprimere il proprio tempo, non può non essere pensante e ansiosa, perché stiamo distruggendo un sacco di cose centrali. Una per tutte, la conoscenza. Stiamo smontando l’importanza di sapere.

Mettiamo allo stesso tavolo un idraulico e un epidemiologo a parlare di vaccini: la competenza non conta più niente? Scambiamo ricerca e conoscenza per informazione, quando la prima è l’elaborazione della seconda, dà vita alla tua consapevolezza, alla tua scelta di campo, al tuo giudizio… noi ora abbiamo sdoganato l’informazione come conoscenza e per la prima volta la generazione successiva corre il rischio di essere più ignorante di quella che l’ha preceduta.

Qual è stato l’approccio alla composizione?
Sono partito dal titolo. Ho passato una settimana di ricerca davanti al foglio bianco: avere nella penna un linguaggio sciolto può essere uno svantaggio, se non decidi prima di cosa parlare.

Alla fine è arrivata l’idea di questo viaggio lunghissimo, fatto di incognite e preoccupazioni, di ricerca, di stupore e meraviglia nell’attraversare un paesaggio inusuale, così protagonista per le emozioni. Prima della musica è nato lo storyboard: volevo raccontare con una metafora la vita del Banco e il suo viaggio con sorprese, diversità, speranze, desideri, utopie, incognite… tutto quello che significa vivere.

Ma tu la farai mai, la Transiberiana?
È un viaggio col quale ho un appuntamento da sempre. Per ora l’ho studiata molto sui libri, mi sono documentato su questo itinerario al limite delle capacità umane; è il viaggio più lungo che si può fare, sono novemila e trecento chilometri, parte dalle montagne che si affacciano sul Mare Artico e arriva all’Oceano Pacifico del Mar del Giappone, attraversando degli spazi sconfinati che già ti impressionano quando li sorvoli per andare a fare i concerti in Giappone… Non è da escludere la futura possibilità di un Banco in performance-ride sul treno della Transiberiana.

L’intervista integrale su  Classic Rock 78, che si può acquistare qui


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