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PINK FLOYD: la copertina del mese

Prima che Syd venisse divorato dall’LSD, in quel momento, composero una delle prime hit da classifica: i Pink Floyd raccontano ciò che erano, i dubbi, e i retroscena di See Emily Play, l’ultimo atto di lucidità prima che Barret venisse inghiottito dal delirio.

Il singolo dei Pink Floyd del 1967, See Emily Play

Era il maggio del ’67, dopo quattro mesi di registrazioni per The Piper At The Gates Of Down, Norman Smith, non sopportava più Syd Barrett (“E’ come parlare a un muro!” Aveva detto), temeva che il materiale composto dal leader del gruppo non offrisse un singolo da classifica. Ma bastarono questi tre minuti di perfetta canzone pop per fargli cambiare idea.

Quando ascoltai See Emily Play”, disse Smith a Mark Blake, “Pensai: ci siamo, questa è quella buona.” Solare, ammaliante, e perfettamente in sintonia con la Summer of Love, il pezzo originariamente si intitolava Games For May. Il management dei Pink Floyd fiutò il successo e, pur essendo contrario a promuovere il brano, Barrett ci rimise le mani sopra, inserendo dei riferimenti alla sua infanzia a Cambridge. “Lo so a quali boschi si riferiva Syd in See Emily Play”, disse Roger Waters nel 2004. “Ci andavamo tutti, da bambini. Era un posto preciso, in un bosco preciso, sulla strada per le Gog Magog Hills.

Ci si è soffermati anche su chi fosse Emily, e la critica ha speculato molto, chi pensava fosse l’aristocratica birichina Emily Young, o la coinquilina di Barrett, Anna Murray. Ma Waters non ha mai dato peso alla questione: “Emily potrebbe essere chiunque. E’ solo una tizia come tante, tutto qui.” In ogni caso, a Smith, non parve vero di poter lavorare su un singolo tranquillo e diretto, spingendo il gruppo a realizzarne una versione melodica, ma al tempo stesso adorna da bizzarrie.

Il produttore racconta: “Loro non badavano a ciò che facevo. A Syd non importava, ma ormai mi ero abituato e così decisi da solo”, Barrett ormai era immerso nell’LSD, che presto lo avrebbe inghiottito, e i suoi problemi erano evidenti. Durante una visita agli studi, nel pieno di una sessione di Emily Play, David Gilmour lo trovò “distante e distaccato”, molto diverso dall’amico d’infanzia che ricordava. “Syd non parve riconoscermi e si limitò a fissarmi. Era una persona differente da quella che avevo incontrato ad ottobre. Ci aveva dato dentro di brutto con l’acido e le canne – spesso con Syd – e questo lo aveva cambiato”. Fedele alle previsioni di Smith, See Emily Play arrivò al n. 5 in Inghilterra, provocando un invito a Top Of The Pops e una recensione entusiastica su NME, che la definiva: “Piena di riverberi, oscillazioni, vibrazioni elletroniche, mugolii e armonie ammalianti.
Al tempo stesso, chi conosce il gruppo, lo definisce l’ultimo atto di lucidità da parte di Barrett prima che sprofondasse nel delirio.Emily fu l’ultima volta in cui Syd mi parve con tutte le rotelle a posto”, disse il manager Peter Jenner nel 1996.

Ultimamente, i Pink Floyd sono tornati con prepotenza in prima pagina. E’ stato pubblicato un nuovo box set, concentrato sui primi anni, e per unirci alle celebrazioni floydiane abbiamo deciso di chiedere alle stelle del rock di parlarci dei loro brani preferiti dei Floyd. Nel numero in uscita di CR #49, i Pink Floyd sono i protagonisti, la cover band del mese. Gli abbiamo dedicato un articolo di ben 10 pagine, ricco di curiosità e foto uniche: troverete le canzoni che loro (e noi) abbiamo scelto, con qualche piccolo segreto. Corri in edicola! Classic Rock è disponibile dal 25 novembre!

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Tags: pink floyd

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