Avventuriero è dispregiativo, preferisco avventuroso. Sono nato in una famiglia patrizia tosco-marchigiana, ho studiato dai padri gesuiti nel Nobile Collegio Mondragone sui Castelli Romani finendo con due lauree in filosofia e giurisprudenza. E una smania incontenibile di viaggi e libertà. Prima m’imbarcai su un mercantile governato da un capitano svedese che mi accolse con simpatia: girammo il Medio Oriente a trasportare cereali, poi Macao, Hong Kong per terminare con India e Australia.
Non subito. In Italia ultimai il mio percorso di studi frequentando l’IPSOA, l’Istituto di perfezionamento in scienze dell’organizzazione aziendale creato a Torino da Adriano Olivetti. Completato il corso fioccarono proposte di lavoro: una della Fiat, una della società di consulenza manageriale McKinsey, una della Althea di Parma che produceva marmellate e una della RCA Italiana. Amavo la musica classica e accettai la proposta di Giuseppe Ornato, amministratore delegato della casa discografica romana, di occuparmi dell’Ufficio marketing.
Certo. Ennio Melis è stato il motore dell’attività artistica, con un fiuto straordinario nell’individuare i fuoriclasse e creare le condizioni perché si esprimessero al meglio.
A volte no. Ad esempio lui non era convinto di Claudio Baglioni, troppo tenero. Preferiva l’impegno di Francesco De Gregori, di Antonello Venditti. A me Baglioni piacque subito e detti incarico a Ettore Zeppegno e Lilli Greco di seguirlo. Dopo l’exploit della maglietta fina si convinse anche Melis. Venivano a bussare da me quelli che si reputavano ai margini del cerchio magico del direttore artistico, come Rino Gaetano che mi scongiurava in romanesco di ritoccare il budget marketing: “Dottò, sposti un po’ de quattrini dar bussolotto targato De Gregori a quello targato Gaetano”. Non ero simpatico a tutti: Riccardo Cocciante, essendo di origini vietnamite, nutriva dei miei confronti del comprensibile risentimento: ero stato un nemico del suo popolo.
Tanti, per non dire tutti. Melis aveva costituito una squadra formidabile fin dall’inizio: Gianni Meccia, Gino Paoli, Luigi Tenco, Jimmy Fontana, Nico Fidenco. Gli arrangiatori Ennio Morricone e Luis Bacalov, due talenti eccezionali dai caratteri così diversi: Bacalov argentino, estroverso, affabile, scherzoso; Morricone romano, timido, apparentemente burbero, tirchio.
Gli spianai la strada per la realizzazione del disco, poi lo affidai al mio collaboratore Don Burkhimer. La sera quando dagli studi di registrazione di Hollywood tornavamo al nostro albergo ci fermavamo sempre in una gelateria. Pagavo invariabilmente io. L’ultima sera prima del mio ritorno a Roma fu lui ad anticiparmi alla cassa.
Sotto il profilo umano Battisti era un troglodita. Sotto quello artistico era un essere superiore, il migliore in assoluto degli italiani.
Due artisti davvero eccellenti e due bravi ragazzi che frequentavo con piacere. Paul Anka era negato per le lingue straniere: non riusciva nemmeno a pronunciare Buongiorno. In un turno di registrazione mi misi personalmente accanto a lui a fargli da suggeritore: parola dopo parola, ci sbellicammo dalle risate. Sedaka invece ci teneva a imparare la nostra lingua, o almeno delle frasi di conversazione: aveva una nonna spagnola pertanto gli rimaneva familiare anche l’italiano. Era educatissimo e sempre sorridente, peccato quella moglie, lo comandava a bacchetta!
Fu una scelta che m’infastidì. Reali era un manager senza esperienza nel settore musicale, era chiaro che non potesse sostituire quel genio di Melis. Percepii il suo arrivo piuttosto come una sfida diretta a me.
Non avevo nulla contro di lui e infatti diventammo amici. Fui felice quando azzeccò la scelta di Eros Ramazzotti che si rivelò il nuovo asso dell’azienda. Io lasciai definitivamente l’ambiente musicale dodici anni dopo passando alla Sony, nominato presidente della Computer Entertainment per occuparmi del progetto PlayStation.
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