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Keith Reid e il mistero di “A Whiter Shade of Pale”

Era il 12 maggio del 1967 quando veniva pubblicato A Whiter Shade of Pale, il primo grande successo dei Procol Harum, che ancora oggi contiene molte "sfumature" di mistero.

Il brano, figlio dello studio di opere di Johann Sebastian Bach, legava musica classica e soft rock. Il singolo divenne la vera e propria espressione degli stravolgimenti degli anni Sessanta – così come SGT. PEPPERS LONELY HEARTS CLUB BAND dei Beatles ne fu l’album-manifesto.

Vuoi per l’organo di Matthew Fisher, vuoi per quel tributo a Bach, A Whiter Shade of Pale era tutto tranne che "convenzionale", "banale", "scontata". Ancora oggi, è impossibile non cantare con emozione quelle parole di Keith Reid.

Parlando del processo creativo che portò al testo di A Whiter Shade of Pale, Keith Reid rivelò in un’intervista di avere in mente il titolo - una frase forse sentita in un bar - e di aver capito che sarebbe stata l’inizio di una canzone. Era come avere il pezzo di un puzzle, bisognava solo trovare gli altri.

Reid disse inoltre di essersi ispirato molto ai testi di Bob Dylan, pezzi quasi surreali negli anni Sessanta. 

And so it was that later
As the miller told his tale
That her face, at first just ghostly
Turned a whiter shade of pale.

Qualunque sia stata l'ispirazione, il brano è molto evocativo, quasi cinematografico, e sembra raccontare una scappatella finita male. Ma non tutti sono d'accordo sul suo significato. Il tono malinconico di A Whiter Shade of Pale, d'altronde, ci suggerisce che possono esserci altre interpretazioni per quella “sfumatura più bianca di pallore” comparsa sul volto della ragazza della canzone. Il soffitto che gira, altri drink, il ritorno di quel pallore, ancora e ancora.

Non possiamo capire appieno il significato del brano, e forse nemmeno vogliamo farlo. Il fascino di questo grande successo è anche nel suo mistero.

Claudia Marzetti

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Claudia Marzetti

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