Com’è nato il nome dei Jethro Tull?

Siamo negli anni Sessanta. Sono noti come Navy Blue, Ian Henderson’s Bag O’ Blues, Candy Coloured Rain. Ma sono sempre loro: i futuri Jethro Tull.

Il 1967 e il 1968 furono anni di transizione. Dopo aver compreso la difficoltà di sostenere economicamente una band a sei membri, il gruppo dalle cui radici sarebbero nati i Jethro Tull si era sciolto. Solo Anderson, Abrahams e Cornick rimasero assieme, ingaggiando anche Clive Bunker alla batteria. Anderson e Cornick divennero coinquilini, ma facevano fatica ad andare avanti con i pochi soldi che guadagnavano.

La nuova band suonava principalmente british blues, il derivato britannico del blues americano, molto in voga negli anni ’60, e riusciva a rimanere inclusa nel circolo dei club di Londra con uno stratagemma preciso: quello di cambiare frequentemente nome. Sui manifesti delle esibizioni dei club comparivano così nomi come Navy Blue, Ian Henderson’s Bag O’ Nails, Candy Coloured Rain. Ed erano sempre loro.

Alla fine, neanche gli stessi membri riconoscevano più il proprio nome sui manifesti (come ricordò lo stesso Anderson). Ma chi inventava questi nomi? Principalmente gli agenti che riuscivano a procurargli le gig nei locali. Uno di loro era un appassionato di storia, e li battezzò Jethro Tull. Era il nome di un agronomo inglese, un vero e proprio pioniere che perfezionò una seminatrice per farle piantare i semi in file ordinate e sviluppò una zappa trainata da cavalli, metodi che aiutarono a sviluppare le basi dell’agricoltura moderna.

Così, un nome che teoricamente non aveva niente a che fare con una rock band britannica divenne il prescelto. Perché? Perché la prima volta che suonarono come i Jethro Tull, il manager del locale li invitò a tornare. Qualcosa che non accadeva spesso (anzi, mai) e che sembrò un buon segno. E in effetti lo era.

Ma l’odissea del nome perfetto non era ancora finita: quando la band registrò il singolo Sunshine Day con Derek Lawrence, fu esterrefatta nel leggere che questo era stato attribuito ai Jethro Toe. Forse un tentativo maldestro di non pagare alla band i diritti d’autore. E infatti, la versione più comune e “corretta” del disco è in realtà una contraffazione newyorkese.

Claudia Marzetti

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