True Lies: The Cure raccontati da Radiofreccia e Classic Rock

True Lies il nuovo programma di Radiofreccia e Classic Rock

Il programma di Radiofreccia in cui Fabio Cormio e Dj Double M raccontano i contenuti di Classic Rock Italia, è tornato in onda con i retroscena e i segreti più torbidi sui The Cure. Eccone un assaggio!

Hai perso le prime puntate di True Lies? Guardale sul sito di Radiofreccia!

Il primo racconto di quest'ultima puntata è riportato nello speciale di Classic Rock dedicato ai The Cure. Il testo dell'articolo è di Fabio Cormio.

“Ho avuto la mia prima chitarra elettrica nel dicembre del 72 - racconta Robert Smith nella semi officiale biografia della band Ten Imaginary Years - Frequentavo un istituto sperimentale, i cui metodi di insegnamento per i ragazzi dagli 11 ai 13 anni erano rivoluzionari. La mentalità era aperta e mi piaceva molto. Se eri astuto, potevi convincere i professori di essere un tipo speciale. Così, non ho fatto praticamente niente per 3 anni.

Trattandosi comunque di una scuola cattolica, i programmi comprendevano anche l’ora di religione, che mi guardavo bene dal frequentare. Si andava nell’aula di musica, dove utilizzando la strumentazione disponibile imparammo a suonare bizzarre versioni di canzoni dell’epoca. Al termine dell’ultimo anno ci esibimmo davanti alla classe. Io suonai il piano. Ci eravamo ribattezzati The Obelisk, ed eravamo pessimi, ma in ogni caso era sempre meglio che studiare."

A proposito di esordi assoluti, vale la pena ricordare il primo singolo dei Cure, Killing an Arab. Purtroppo per i Cure, prima che i discografici, il brano conquistò i ragazzetti del National Front, gruppo di estrema destra, che equivocando sul testo, liberamente ispirato al romanzo di Albert Camus Lo straniero, ne fecero un inno razzista, fra la costernazione e le proteste del gruppo, che impiegherà diversi mesi per sbarazzarsi di questi ingombranti fan.
Forse in questo incidente di percorso va individuata l’esclusione da THREE IMAGINARY BOYS del 1979, mentre verrà inserita nella riedizione del disco, intitolata BOYS DON'T CRY e rilasciata nel febbraio del 1980.

La critica è concorde nel definire il secondo album dei Cure, SEVENTEEN SECONDS, un vero capolavoro. Un album uscito nel 1980, per il quale, spiegherà il bassista Simon Gallup, lo scopo della band era quello di creare una sola emozione, cioè la tristezza. Non una serie di stati d'animo, quindi, ma più aspetti di uno stesso stato d'animo. La rivista inglese Sounds all'epoca colse subito la grandezza del brano A Forest, rimasto come uno dei brani più significativi dei Cure in assoluto. Sounds lo definì come una canzone pop perfetta e un classico senza tempo.

Un minuto scarso di introduzione maestosa, però misurata, e poi A Forest decolla con una melodia traslucida di chitarre vetrose incastonate sul basso martellante e su una batteria ridotta all'osso. Un cortometraggio sonoro, notturno, immaginifico, che insegue visioni nella brughiera inglese. In A Forest l'io narrante vaga tra gli alberi dietro una ragazza che non c'è, restando infine solo e condannato in eterno a correre verso il nulla. Poco dopo, il brano si scioglie nel buio e lascia le quattro corde a meditare un commiato. A Forest si porge austera ma ardente, come l'album che la contiene. Tu chiamala, se vuoi, perfezione.

Smith raccontò così, nel 1986, l'esperienza di quell'album:

Se Seventeen Seconds non fosse stato così, tutto sarebbe stato diverso. È il nostro disco più importante, ha fissato il giudizio del pubblico su di noi per almeno tre anni.

Scopri l'intera storia dei Cure nella puntata di True Lies, sul sito di Radiofreccia.

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