“… baby, we were Born to Run!” – GLORIE DEL ROCK EXTRA

Al terzo tentativo, Bruce Springsteen sembra aver trovato la chiave dell’universo che cercava in Growin’ Up. Perché sono milioni e milioni in tutta l’America, anzi in tutto il mondo, i giovani ribelli “nati per correre”! 

Sul finire dell’estate 1974 entrano nella E Street Band il pianista Roy Bittan e il batterista Max Weinberg, straordinari innesti che portano altra energia e un solido background rock’n’roll. Va registrato, in quegli stessi mesi, il nascere dell’amicizia tra Bruce Springsteen e il critico musicale Jon Landau. Tra i due, si sviluppa una forte intesa artistica. Landau, che ha già prodotto artisti diversi come Mc5 e Livingston Taylor e che possiede uno straordinario fiuto per gli affari, si propone come la persona giusta per rimettere in piedi la carriera del ventiquattrenne Springsteen, così giovane ma anche così vicino a ripiegare su se stesso.

Innesti a parte (Weinberg ha preso il posto di Ernest Boom Carter che era subentrato a Vini Lopez, Bittan si è seduto dietro al pianoforte che era stato di David Sancious), la differenza vera, al momento di entrare in studio per mettere giù le prime tracce del terzo album, la fanno le canzoni, che aiutano Landau e Springsteen a snellire un suono che rimarrà enfatico ma sarà più vicino alla cultura rock’n’roll. Il desiderio di Bruce, quasi una pretesa, è di ottenere «un suono maestoso come quello delle produzioni di Phil Spector, scrivere testi ambiziosi come quelli di Bob Dylan e cantare con la voce di Roy Orbison». Il gioco si intitolerà BORN TO RUN e non sarà di quelli che riescono a tutti. Mike Appel, che aveva prodotto sia GREETINGS FROM ASBURY PARK, NJ che THE WILD, THE INNOCENT & THE E STREET SHUFFLE, è ancora della partita ma è un emarginato destinato a uscire presto di scena, lasciando tutto nelle mani del nuovo arrivato.

L’impalcatura è sorretta da composizioni epiche e romantiche, quel genere di canzoni che davvero cambiano la vita di chi le canta e di chi se le vede entrare nella propria finestra. Sono lunghe, energiche anche quando a cantare è solo il pianoforte, parlano di riscatto e cercano una vittoria a qualsiasi costo, sanno esprimere al meglio quell’urgenza che è propria della musica rock, amplificano storie di sofferta libertà da cercare nel cofano di una macchina o nell’angolo più remoto della propria anima. Sono un’ossessione degna dei romanzi di Raymond Chandler, sono la scossa di cui Bruce e parte del popolo prevalentemente mid-class che lo segue avevano bisogno. Lo spettacolo che ne deriva, al limite della resistenza fisica, si propone come una metafora della vita, dove ogni componente viene rappresentata in maniera vivida: il desiderio, le promesse, l’amicizia. Tutto all’insegna di una fede mai specificata, spesso travestita da chitarra elettrica o sassofono, ma indicata come l’unica strada percorribile. I giovani amanti spaventati di Backstreets, brano che qui giganteggia, potrebbero essere facilmente le ultime due generazioni di americani in cerca di un riscatto e di una redenzione, e per questo motivo quella e altre canzoni di speranza vengono accolte come si meritano, con gioia ed eccitazione. Della dirompenza di quelle nuove composizioni si accorge l’America intera il giorno in cui escono, contemporaneamente, due copertine dedicate a Springsteen: una è del «Time», l’altra di «Newsweek». Springsteen ha davvero trovato la chiave dell’universo che cercava in Growin’ Up.


Adesso fate conto di non aver mai letto né ascoltato nulla di questo disco di Bruce Springsteen. Bene, questo è il suo primo album, non il terzo. Possibile? Possibile. Proviamo a stendere una storia romanzata di BORN TO RUN, manomettendo anche il calendario. Basta immaginarsi che le cose siano andate così…

 

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