“Civiltà sepolte” – CLASSIC ROCK

L’anno scorso è uscito anche in Italia Wagnerismi, un interessantissimo saggio in cui il giornalista e musicologo americano Alex Ross ricostruisce la controversa arte di Richard Wagner: 1184 pagine dedicate con amore e trasporto a un compositore scomparso quasi 150 anni fa. Quest’estate, invece, in Inghilterra è stato pubblicato Goodbye Russia: Rachmaninoff in Exile, firmato dalla prestigiosa critica di musica classica inglese Fiona Maddocks. Anche in questo caso, tanto lavoro su un musicista scomparso quasi 100 anni fa. In un’epoca specializzata nel
lasciarsi rapidamente tutto alle spalle, sono cose che sorprendono. E per noi, che facciamo una rivista come «Classic Rock», sono piccoli ma forti segnali di speranza.

Mentre riflettevo su queste cose, mi è venuto in mente il titolo di un grosso tomo che da ragazzino mi affascinava ma che non ho mai avuto il coraggio di provare a leggere. Mi riferisco a Civiltà sepolte. In quel libro (pubblicato per la prima volta nel 1949), il giornalista tedesco Kurt Wilhelm Marek, in arte C.W. Ceram, riuscì a rendere pop temi austeri ed elitari come l’archeologia, gli scavi di Ercolano e Pompei, la riscoperta di Troia, le piramidi egizie, gli Assiri, i Maya e gli Atzechi. Perché il mondo va così: si guarda sempre in avanti, ma alle nostre spalle ci sono inestimabili ricchezze che ogni giorno rischiano di dissolversi, finendo silenziosamente nella discarica della memoria. Quando si parla di «Classic Rock» come di una rivista nostalgica, mi viene da sorridere: la storia del rock è iniziata all’incirca settant’anni fa. Praticamente l’altro ieri. E chi crede che tutto sia stato detto e scritto, e che il rock sia materia ormai trita e stranota, si sbaglia di grosso.

Prendete questo numero di «Classic Rock»: sfogliatelo e arrivate al fenomenale articolo che Mario Giugni ha dedicato ai Pretty Things, una delle grandi band dimenticate del rock. Davvero sapevate tutte queste cose? E davvero avete ascoltato con attenzione quei fantastici dischi di cui ci parla Mario? Subito dopo, troverete l’intervista che il collega inglese Paul Rees ha fatto a Geezer Butler: è una lettura avvincente, un racconto senza peli sulla lingua (a Rick Rubin staranno fischiando le orecchie, per dirne una) in cui la storia dei Black Sabbath rivive con toni, accenti e particolari spesso nuovi. Ecco, ho citato due semplici esempi di quello che noi ci sforziamo di fare ogni mese. Il rock non è affatto morto, vive insieme a noi.

Ce lo dimostra anche un altro piccolo episodio che mi piace segnalarvi: questa estate la nostra Barbara Tomasino è andata a sentire i Guns N’Roses portandosi dietro sua figlia June. Bene: June, che ha nove anni, è stata per tutto il tempo con gli occhi spalancati e alla fine ha sentito il bisogno di fermare su carta le emozioni suscitate da ciò che aveva appena visto. Al netto di un piccolo amorevole intervento di editing operato da mamma Barbara, ecco cosa ha scritto:

“Quando i ragazzi suonavano ho visto che buttavano tutti i pensieri, tutte le emozioni che avevano e li univano al ritmo della canzone: rabbia, malinconia, tristezza, gioia, pentimento e paura. Poi ho notato che Slash cambiava la chitarra, questa cosa l’ho apprezzata molto perché si vedeva che ci teneva e le cose le faceva bene. Mi attrae anche il fatto che si facevano notare, erano eccentrici. Non è stato un semplice concerto, era molto di più: si vedeva il loro passato glorioso proiettato nel mio presente di ragazzina che si approccia alla musica rock”.
June Tomasino Costa

Brava June, con questa recensione ci hai regalato un superbonus di entusiasmo e qualche altro anno di vita felice.

- Maurizio Becker

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Mila Spada

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Mila Spada

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