Rocket Man – I dischi di Elton John degli anni 70: Elton John

È giunta l’ora di rendere omaggio a Elton John e ripercorrere i suoi fantastici anni 70.

Un estratto dell’articolo di Mario Giugni  pubblicato su Classic Rock 79, in edicola e online!

ELTON JOHN
DJM, 1970

Confortato dal buon budget disposto dalla DJM, per il secondo album di Elton John il manager Steve Brown si mette alla ricerca di un produttore e di un arrangiatore. Disponibile ci sarebbe George Martin, che però pretende entrambe le mansioni. Brown invece vuole combinare due differenti personalità.

E così, durante l’intervallo di un concerto di Miles Davis al Ronnie Scott’s, insieme a Elton incontra Paul Buckmaster, il violoncellista diplomato alla Royal Academy of Music che ha arrangiato Space Oddity di Bowie. E gli sottopone i demo di tre nuove canzoni, tra le quali Your Song. “Mi è bastato il primo ascolto per chiamare Steve ed esprimere il mio entusiasmo”, racconterà Buckmaster in un’intervista. “Avevo già compreso il potenziale di quello che avrei scritto. Già sentivo quello che avrei creato per Your Song, tanto per cominciare. Era il genere di cose che volevo fare, datemi una canzone come quella: era proprio quello su cui volevo lavorare.

In effetti, ogni volta che mi davano le altre canzoni io ero sempre più eccitato, perché potevo già sentire bene ciò che avevo in mente”. Ed è proprio Buckmaster a convincere Gus Dudgeon, con il quale ha lavorato per Bowie, a occuparsi della produzione. L’idea è mettere al centro la voce e il pianoforte di Elton in un contesto orchestrale, registrando il tutto praticamente live ai Trident di Soho. Buckmaster scrive tutti gli arrangiamenti, ma lascia alla fantasia di Elton i tasti bianchi e neri.

Il meglio viene specialmente quando, e succede molto spesso, si va sulle ballad

La registrazione procede veloce e in dodici giorni il prodotto è terminato, missaggio incluso. Ad aprire in paradiso è Your Song: Bernie Taupin è cotto perso di una ragazza quando ne scrive i versi ed Elton, che compone la melodia in venti minuti, conoscendo la coppia fa di tutto per rendere il loro amore con la massima dolcezza. Le invenzioni per gli archi di Buckmaster sono la perfezione, la nota ripetuta tredici volte dal contrabbasso nel finale inchioda, la performance vocale è tenera e rassicurante. Più che una canzone d’amore, è una canzone sull’amore come dono e probabilmente anche chi non ama Elton John si arrende alla divorante emozione.

Sganciato in apertura il capolavoro, l’album prosegue senza incertezze e il meglio viene specialmente quando, e succede molto spesso, si va sulle ballad. First Episode At Hienton avverte che Elton è soprattutto voce e pianoforte, in Sixty Years On, The King Must Die e The Greatest Discovery Buckmaster scatena le sue voglie più pompose, Border Song è una delizia con cori tra Hollywood e gospel, I Need You To Turn To è struggente.

Più sul mosso, invece, sono il rhythm’n’blues ululato di The Cage, che suonerebbe abbastanza anonimo se nella parte centrale Buckmaster non infilasse uno spiazzante uso dei fiati, No Shoe Strings On Louise, un country-blues calligrafico con un cantato parodia di Mick Jagger, e Take Me To The Pilot, un rock molto americano che Elton interpreta senza avere alcuna idea di cosa significhi il testo scritto dall’anche lui ignaro Taupin (“rime e metrica erano grandi”, più tardi racconterà il paroliere nel libretto di TWO ROOMS, concludendo che “se qualcuno mi spiegasse cosa significa sarebbe meraviglioso. Però il testo funziona”).

Accesa, infine, è anche Bad Side Of The Moon, all’epoca scartata dalla tracklist della versione inglese dell’Lp, ma presente in quella italiana, e usata come retro del singolo di Border Song. Nell’ombrosa copertina, Elton è un bravo ragazzo appena un po’ nerd. I giorni glamourous sono ancora lontani.

Mario Giugni

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Mario Giugni

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