Due musicisti talentuosi, legati da una città, Seattle, e da un genere rivoluzionario, su cui i media hanno costruito la loro rivalità, non considerando il rispetto e l'ammirazione reciproca: ecco la storia di Eddie Vedder e del suo legame con Kurt Cobain.
Non è facile indossare una corona ed essere idolatrato da tutti come il Messia di un genere avanguardista. Così Eddie Vedder, storico leader dei Pearl Jam, ha portato sulle spalle il peso di una celebrità costruita sull'identificazione con un'intera generazione. Un titolo che potrebbe impaurire anche il più indomabile interprete, perché sancisce una responsabilità non voluta, nata dalla semplice passione di fare musica ed esternare la propria rabbia. Così la Seattle degli anni Novanta ha forgiato due paladini del neonato grunge e Vedder ha condiviso il suo regno con un altro brillante e iconico cantautore: Kurt Cobain. Subito i media sono impazziti nel tratteggiare la presunta rivalità che divideva i Pearl Jam dai Nirvana.
Certo, Kurt si arrabbiò non poco quando la copertina del «Time» intitolata All The Rage dipinse Eddie Vedder come il nuovo rabbioso portavoce delle paure dei giovani. Anche perché entrambi gli artisti erano stati intervistati per lo stesso numero, ma Kurt era noto per non dare molta mano libera ai giornalisti, dato che questi premevano sempre sulla sua dipendenza da eroina e sulle controversie con i Pearl Jam. Per questo, colsero al volo quella volta in cui Cobain definì la band di Vedder come carrieristi, con la sola smania di fare denaro. E molto spesso i media hanno cavalcato l'allontanamento stilistico dei Nirvana dai Pearl Jam, tratteggiando un ring di disputa sull'egemonia del grunge.
Ma forse ci si dimentica che, nonostante il rapporto controverso, c'era profondo rispetto tra i due leader. Tanto che a Kurt stava simpatico Eddie e rimane indimenticabile quel ballo tra i due agli MTV Video Music Awards del 1992 con sottofondo Tears In Heaven di Eric Clapton. E sono proprio quelle le lacrime che ha versato Vedder quando ha saputo della morte di Kurt. La sua nemesi l'aveva lasciato solo davanti all'intera folla in adorazione, pronta a sbranare il lascito ereditario dell'artista. I due non si conoscevano molto bene, ma avevano condiviso emozioni e aspettative di un'epoca rivoluzionaria. Così, quando i Pearl Jam non poterono suonare al Pier 48 di Seattle nel 1993 a causa della salute precaria di Eddie, il frontman si sentì profondamente in colpa.
Tutti gridavano già al ritiro della band a favore della vittoria dei Nirvana e il febbricitante Eddie si sentiva più vulnerabile che mai. Anche dopo la morte di Cobain, quando nei locali circolavano volantini che avrebbero voluto Vedder morto al suo posto. E lì il cantautore ha capito due cose: la preziosità della vita e l'ingordigia di un pubblico che vuole risucchiarti l'anima. Così quella di Kurt si era spenta in un vortice di sentito abbandono, ma Vedder doveva portare avanti il suo messaggio. Perché i due frontman erano diversi stilisticamente, ma simili nella battaglia musicale che quel preciso contesto storico stava riversando su di loro.
Gli anni Novanta avevano avuto il loro TEN e il loro NEVERMIND, due album di punta in lizza idealmente per la corona del grunge. Ma non ci sono veri vincitori, solo fragili musicisti che non pensavano di fare la storia e hanno avuto il coraggio di mostrare al mondo i loro scandagli interiori, facendone capolavori. Per questo ricordiamo in chiusura il memorabile concerto dell'agosto 1994, quando Vedder cantò I Am The Warlus dei Beatles con Krist Novoselic e Dave Grohl, in omaggio a Kurt.
Qualunque generazione scelga Kurt o me come portavoce, dev’essere davvero una generazione rovinata.