Kurt Cobain voleva morire nella città eterna

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La mattina del 4 marzo 1994 gli occhi e le telecamere dei media di tutto il globo si vanno a puntare prima al Policlinico Umberto I e poi all’American Hospital di Roma, da dove non si scolleranno per un’intera angosciante settimana: la più famosa rockstar del momento, Kurt Cobain, è in coma, in terapia intensiva dopo essere stato a un passo dalla morte. Cos’è successo?

Piccolo flashback. Il 23 febbraio, i Nirvana suonano al Palaghiaccio di Marino, a 20 chilometri da Roma. Dovrebbe essere il loro ritorno trionfale nella Capitale dopo l’esaltante concerto al Castello (19 novembre 1991) all’epoca di NEVERMIND, ma invece c’è qualcosa che non quadra: Cobain appare inspiegabilmente moscio, svogliato, privo di energie. Le nuove canzoni dell’appena uscito IN UTERO vengono eseguite in modo quasi meccanico, col pilota automatico. È cambiato qualcosa – in peggio – in questi due anni e mezzo, e nel caso, che cosa?

No, qualcosa di cambiato no”, sostiene oggi Marco Cestoni, discografico della Geffen/ MCA legatissimo ai Nirvana. “In Kurt si era solo accresciuto questo malessere legato al successo. Viveva questi suoi continui conflitti con il fatto di essere diventato famoso in un modo che lui non capiva, non comprendeva. E poi, c’era di mezzo pure Courtney Love [sposata nel 1992 e da cui aveva avuto la figlia Frances Bean lo stesso anno, ndr], che aveva tutta un’altra serie di problematiche. Ma per quanto riguarda Marino, lui aveva avuto una laringite pazzesca, per cui era rimasto senza voce. Già a Marino un po’ si sentiva questa cosa, poi dopo in Germania si è completamente spento”. Fatto sta che i Nirvana fanno altre due date al Palatrussardi di Milano, una in Slovenia e una in Germania, per poi cancellare tutte le restanti date del tour. “La mia collega di Los Angeles”, prosegue Cestoni, “mi ha chiamato e mi ha detto, Courtney lo sta raggiungendo in Germania con la bimba, e hanno deciso di venire a Roma in vacanza una settimana”.

kurt cobain voleva morire nella città eterna | kurt cobain e courtney love
Courtney Love e Kurt Cobain

Passano solo poche ore quando, alle 5 del mattino del 4 marzo, Cestoni viene buttato giù dal letto dalla medesima collega di L.A.

Mi disse: ‘Abbiamo trovato un messaggio di Courtney che urla, non capiamo che cavolo è successo, abbiamo chiamato in albergo ma non c’è nessuno... Puoi andare a vedere?’. Mi sono precipitato all’Excelsior. E da lì sono andato al Policlinico, dove ho trovato Courtney che piangeva in ginocchio, nella sala d’aspetto del pronto soccorso alle 6 di mattina... non capendo niente perché non parlava italiano, non capiva questi che cosa stessero dicendo. Per fortuna, all’inizio Kurt non l’avevano riconosciuto, pensavano fosse un drogato, un barbone... Poi hanno capito che c’era qualcosa di strano. E da lì poi lo volevano trasferire... perché lui doveva andare in terapia intensiva. Hanno cominciato a mandare fax alle varie strutture che potevano accoglierlo. Non ricordo dove volevano mandarlo, ma tipo all’ospedale di Rieti. E allora lì ho detto, ‘Non si può fare ’sta cosa, perché qui succede un macello’. E mi sono industriato a capire dove potevamo portarlo. Una mia collega della BMG mi ha suggerito l’American Hospital, che era un posto molto discreto dove si erano nascosti anche dei politici indagati (ride). Ma prima di andare all’American Hospital abbiamo perso tempo, perché io a un certo punto avevo detto a Courtney: ‘È inutile che stai qui, io ora mi prendo in carico questa situazione, tu intanto vai in albergo e chiuditi lì. Non uscire, mi raccomando…

E lei: ‘Sì,sì,grazie’. Lei se ne è andata, ma poi quando l’ho chiamata – perché per portare via Kurt bisognava firmare... e poteva firmare solo lei, non certo io... Lui era in coma. Ho chiamato in albergo e mi hanno detto che lei non era mai arrivata. Quindi panico. Quando è tornata – tre o quattro ore dopo – mi ha detto che era stata a piazza San Pietro a piangere e aveva comprato i rosari perché aveva pregato... E io le ho detto: “Ma che cazzo fai, dove sei andata, tu devi firmare...!” (ride). E così siamo partiti verso l’American Hospital con un’avventurosa uscita dal Policlinico. Perché fuori si era creato un assembramento, dalla CNN a MTV alla BBC a tutte le televisioni del mondo immaginabili. E quindi abbiamo dovuto fare una rocambolesca fuga”.

All’American Hospital, circondato ben presto anch’esso da troupe tv e giornalisti provenienti da ogni angolo del mondo, Cestoni in quanto responsabile per la Geffen si trova a dover limitare i danni: “Dovevo fare il soldato... dovevo difendere ilforte. Quindi ho dovuto capire come arginare queste notizie orribili di suicidio che invece non si dovevano diffondere. Alla fine, mi sono messo d’accordo con quelli dell’American Hospital per fare una conferenza stampa con il primario [dott. Osvaldo Galletta, ndr], in cui questi raccontò delle cose banalissime, quelle che poi sono uscite sui giornali: che lui aveva sbagliato e, per questo suo problema alla voce e poi per altri problemi fisici, aveva preso troppe pillole, però adesso stava benissimo e beveva questo frappè di fragole... Che non era vero, insomma. Cioè, in parte era pure vero, però ecco, abbiamo raccontato questa favoletta. Che non so quanto sia stata creduta, però almeno per un momento abbiamo cercato di arginare”.

Mentre Cobain man mano si riprende e viene trasferito dalla terapia intensiva in una normale camera d’ospedale, Cestoni ha sempre comunque una bella gatta da pelare: Courtney Love.Era una mina vagante”, ricorda il discografico. “Fece una lezione, arrivata all’American Hospital, a tutti i professori, portando tutti i flaconi che lui si era preso. Fece una lezione di chimica. E questi erano a bocca aperta, perché lei sapeva tutto. Perché lei aveva già avuto tre overdosi personali, quindi sapeva che se tu ti eri preso questa cosa qua e loro ti facevano quest’altra come antidoto, potevi morire. Quindi era meglio fare un’altra cosa che lei suggeriva, ‘Allora, se lui ha preso questo dovete fare così’. Lei gli ha fatto un tutorial su cosa dovevano fare. C’erano questi professori, primari, tutti lì ad aspettare quello che raccontava lei”.

E inoltre, “Lei aveva una lettera di Kurt che continuava a tirarmi fuori, che io ho cercato di nascondere... di buttare... ma non ci sono riuscito. Per fortuna poi lei non l’ha mai fatta vedere a nessuno.

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Una lettera esplicita d’addio?Sì, c’erano scritte delle cose orribili su di lei da parte di lui”. Alla fine, rimesso in sesto, Kurt riuscirà a tornare a casa a Seattle, ma la sua psiche è ormai andata e il suo destino è segnato: neanche un mese dopo, il 5 aprile, si sparerà un colpo di fucile alla testa, ponendo fine alla sua vita e all’epopea dei Nirvana.

Quello di Roma – lo rivelerà tra lacrime e imprecazioni Courtney Love in una drammatica intervista rilasciata a David Fricke di «Rolling Stone» qualche mese dopo – era semplicemente stato il suo primo tentativo di suicidio: “Aveva preso 50 fottute pillole. Probabilmente aveva dimenticato quante ne aveva prese. Ma c’era un preciso impulso suicida, a inghiottire, inghiottire e inghiottire. Maledizione. Anche se non ero dell’umore giusto, avrei dovuto concedermi a lui [quella sera]. Tutto ciò di cui aveva bisogno era scopare. L’avrebbe fatto stare bene. [...] Sì, ha sicuramente lasciato un biglietto nella stanza. Ma mi è stato detto di non parlarne. Tanto, cosa avrebbero potuto fare i media per aiutarlo?”.

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