Guarda la nostra videointervista esclusiva a Jack Jaselli

jack jaselli

Di internazionale, Jack Jaselli (all’anagrafe Giacomo Jaselli, 41 anni appena compiuti) non ha solo il nome. Quella del cantautore milanese è una vocazione innata, al motto di “have a guitar, will travel” del grande Bo Diddley.

Intervista: Fabio Cormio | Foto: Amilcare Incalza | Videomaking: Emma Corazzi | Style: Sabrina Mellace | Fashion coordinator: Elisabetta Catalano. Articolo tratto da «Classic Rock» n.105, in edicola e online.

A un pubblico più ampio di quello dei club, Jaselli arriva nel 2010 con l’album d’esordio in inglese IT’S GONNA BE RUDE, FUNKY, HARD. Il suo suono all’epoca è un funk rock dalle venature reggae, stiloso come la sua immagine.

Il 2013 è l’anno della rampa di lancio, perché, oltre a un minialbum acustico, arriva l’opportunità di aprire i concerti dei Negramaro, in quel momento trainanti per l’industria musicale italiana, a San Siro e all’Olimpico. Tanti grandi nomi si accorgono di Jaselli e cominciano contaminazioni e collaborazioni, su tutti Ben Harper e Lee Ranaldo.

Nel 2018 esce TORNO A CASA, il primo lavoro in italiano, prodotto da Max Casacci dei Subsonica. Il 13 maggio di quest’anno esce il singolo Se non ora quando, che si regge su una base fortemente elettronica sulla quale però sono state innestate le chitarre. Il 27 aprile Jaselli aveva fatto il proprio esordio in libreria con Torno a casa a piedi, frutto del viaggio a piedi di 800 chilometri lungo la via Francigena, con zaino e chitarra in spalla.

Tra libro e singoli, ma anche un master in neuroscienze e pratiche contemplative che ti richiede molto impegno, sei preso tra mille progetti. Allora, visto che fermo non ci sai proprio stare, raccontaci dove stai andando. Al momento sto andando verso il nuovo album. Ho approfittato di questo periodo, anche se come tutti ero un po’ spaventato e paralizzato, per ripercorrere i miei viaggi e alcune parti della mia vita scrivendo il libro Torno a casa a piedi, che in questo periodo sto promuovendo. Ma sono molto concentrato sulla musica e voglio anche recuperare un po’ del mio sound sporco e bluesy degli inizi, questa volta cantando in italiano. Siamo abituati a vederti in un ambito intimo: uno sgabello, un riflettore, la chitarra acustica, lo Stetson sulla testa. Un club piccolo ma caldo a fare da sfondo. Questa dimensione è la tua casa? Certamente è quella a cui sono più abituato, anche se è stato bello suonare molte volte in grandi festival davanti a platee enormi e su palchi grandi, a San Siro e all’Olimpico aprendo per i Negramaro e in piazza del Duomo per gli MTV Award. Comunque, di base sono più ‘a casa’ nei club, per esempio il Nidaba di Milano, non lontano da qui, dove ho fatto tanta buona gavetta.

Ora sei alle prese con la promozione tuo libro Torno a casa a piedi. Cosa c’è del musicista Jaselli in quelle pagine?

Tutto, perché quel viaggio a piedi è stato un vero e proprio tour musicale, nato per promuovere il mio primo disco in italiano. Chitarra e zainetto in spalla, camminavo in solitaria e ogni due giorni mi fermavo per suonare dal vivo, quasi sempre in piccole località lungo la via Francigena. Ho recuperato così la dimensione del cantastorie ed esplorato quella dell’arrivare a piedi nel luogo del live. Trentotto giorni per fare 800 km, ma ne è valsa la pena: anche perché, pur avendo mangiato parecchio, sono dimagrito!

Hai scritto per molti anni in inglese, ti hanno conosciuto all’estero e sei la voce italiana dell’annuale tributo a Jeff Buckley. Allora parliamo dei tuoi riferimenti, tra i cantautori, nel mondo ma ci interessano anche quelli italiani.

Ho iniziato a fare musica negli anni Novanta, tra grunge e post-punk. Poi, andando a ritroso, sono stato folgorato da Jeff Buckley e Ben Harper. Nel frattempo, in casa assorbivo – attraverso gli ascolti dei miei genitori – De André, De Gregori e Battisti, ma ascoltavo anche band come Subsonica e Casino Royale, che all’epoca non solo erano all’avanguardia, ma dimostravano anche come l’italiano possa adattarsi alle nuove sonorità. Ecco, questa è per me una chiave importante, perché è essenziale per me produrre testi significativi senza compromettere la musicalità.

Domanda un po’ nerd: a che tipo di strumenti, acustici ed elettrici, sei affezionato?

Sono affezionatissimo alla mia Martin M36, chitarra dal suono molto caldo con la quale ho scritto la maggior parte delle mie canzoni. Amo molto anche una Telecaster Thinline che ho usato soprattutto agli esordi con la band, dieci anni fa. Sono legato anche a una chitarra western di scarso valore che ho comprato in California, me l’ha venduta la mamma di Ben Harper.

Il tuo modo di suonare negli anni si è evoluto, così come le tue sonorità: da un ritmato funk-reggae a territori più cantautorali. Poi la svolta in italiano e molte incursioni nel mondo dell’elettronica e con artisti molto lontani da mondi rock e acustici. Come proseguirà la tua traiettoria?

Chiaramente sono uno a cui piacciono le contaminazioni, mischiare, come ho fatto per esempio con Gue Pequeno. Però il mio desiderio ora è quello di tornare a un suono completamente “organico”, chitarra elettrica, batteria, strumenti acustici. Ora sono focalizzato su quello.

Leggi l'intervista completa su «Classic Rock» n.105, disponibile in tutte le edicole e sul nostro store online!

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