Intervista a DANIELE DE GREGORI

Daniele De Gregori torna in scena con un lavoro a cui affida la responsabilità di un titolo importante: CURA. Ed il rimando a Battiato diviene certezza addentrandosi nella tracklist per trovare un omaggio al cantautore siciliano con quella Il Re del mondo che impoverisce gli uomini ricchi soltanto di estetica. “Tutti cercano una cura, al male, al dolore, alle malattie, così la cerco anche io e ho voluto raccontare in quale direzione ho puntato il naso” (D. De Gregori).

Questo disco porta con sé un titolo importante. “Cura”. Col senno di poi, ti ha regalato un rimedio, una ragione alle tante ferite della vita quotidiana? Oppure avevi solo bisogno di condividere con noi quello che stai ancora cercando?

Io come tutti vivo un percorso umano che non so spiegare con una parafrasi, Per questo trovo l’esigenza di esprimerlo con un linguaggio artistico. L’arte in ogni sua forma in fondo non è nient’altro che questa esigenza di sconfinare la parola comune. Una “cura” assoluta contro l’incomprensibile. È un processo che prevede sempre “l’altro”, perché senza qualcuno che ascolta non esiste nessun racconto. Il nodo focale dell’album è appunto questa considerazione.

Sono tantissime le frasi che ho sottolineato. Troppo spesso la critica sociale si rende velenosa quanto intelligente. Ne estrapolo una da Eleonora forse anche privandola del suo contesto e ti chiedo: ma se la gente vive per sentito dire perché lasciarla andare? Che cura è questa?

Ci sono circostanze in cui è necessario “mollare” alcune situazioni. Non è facile individuare quando e come, si rischia l’accanimento da un lato o l’arrendevolezza dall’altro. Ma è un ballo che facciamo per tutta la vita, e spesso i balli vengono bene in due.

Tra l’altro, sempre restando su questo brano, in passato cantavi Felici per finta. Questa finzione sembra non essere passata, ha forse cambiato le abitudini e i costumi... o sbaglio?

Ti ringrazio, hai pescato un ottimo esempio di come la mia prospettiva sia cambiata. Felici per finta è un brano dell’album precedente in cui la direzione di cui ti parlavo non era così chiara. Vedevo solo il male senza immaginarne il rimedio. Ma era una fase necessaria interrogarsi sull’infelicità e su quanto questa sia un tabù. Nascondere a se stessi questo mostro è la finzione primaria che genera tutte le altre. Stiamo costruendo una società votata al “divertentismo”, questo non ci aiuterà affatto.

Charlie Chaplin è uno di quei brani del tuo recente passato. Lo cito però perché trovo che la solitudine sia uno di quei temi portanti di questo disco: “... dover chiedere perdono per non riuscire a essere un uomo solo”. Avitabile canta: “Sadda essere assai forte pe’ vulè bene ’a solitudine”. E tu? Che rapporto hai con la solitudine?

Terribile. La solitudine ha a che fare col silenzio, per questo forse nella vita canto e suono. Esiste una realtà oggettiva e una soggettiva che invece vive solamente nella nostra testa, una vita pensata, immaginata. A quest’ultima cerco di non dare troppo spazio, spesso mi dà ragione a sproposito, altre volte cerca di distruggermi senza motivo. Nel verso che citi poi mi riferisco anche all’essere molte persone, è la tematica di Pirandello.

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Intervista: Federica Proietti

Mila Spada

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