CARLOS SANTANA: leggenda metropolitana di uno stilista

Carlos Santana: un bambino di nome Carlito e la sua prima chitarra

Tijuana, Messico. 1955. È giugno e fa caldo e la festa in giardino che i genitori organizzano per il piccolo Carlito, che compie otto anni, è un successo. Tutti i suoi amichetti sono presenti, suo papà e i suoi compagni mariachi suonano gli ultimi successi di Ritchie Valens e la torta è buonissima. Quando Carlito spegne le candeline, gli invitati, capeggiati dalla bellissima Ines, di cui Carlito è segretamente innamorato dall’asilo, gli porgono un grande pacco, tutto decorato con nastri e piccoli ritagli di carta: è la prima chitarra, quella che segnerà la sua vita per sempre.

Passano dieci anni e lo scenario è cambiato: San Francisco non è Tijuana, e nel 1965 San Francisco è il mondo. Carlito ormai è Carlos, ha finito il liceo e, nonostante l’ammissione alla Columbia University, decide di seguire la sua vera passione, la musica. Non si demoralizza mai, neanche quando di fronte a sé ha pile sempre più alte di piatti da lavare nella cucina del diner di periferia dove lavora per pagarsi l’affitto. E poi c’è sempre la strada, dove suona e impressiona tutti col suo talento. La strada è casa sua ed è invasa da peace, love, hippies e canzoni bellissime; un giorno, mentre suona e canta una sua personalissima versione di Yesterday dei Beatles, una giovane donna bellissima e dal volto familiare gli si avvicina: è la sua Ines. Ora Ines fa la pittrice e indossa uno di quegli abiti lunghi e colorati tipici di quegli anni; ai piedi, però, porta degli anonimi zatteroni di legno e Carlos, senza neanche capire bene il perché, le fa notare che non le donano.

Ines è perplessa, ma lo diventa ancora di più quando Carlos le chiede di toglierseli e di porgerglieli. In pochi minuti, Carlos intreccia un lembo del suo fazzoletto variopinto ai cinturini delle scarpe di Ines, che resta di sasso: “Se non suonassi come un dio, ti direi che dovesti fare lo stilista”, gli dice salutandolo.

 

Carlos Santana suona come un dio, ma trent'anni fa ha fatto una promessa...

Al diner  Carlos resisterà per altri tre giorni: quella frase “se non suonassi come un dio” non gli dà pace. L’occasione arriva in maniera rocambolesca: per un’intossicazione alimentare, Paul Butterfield non può più esibirsi al Fillmore West di Bill Graham, che si vede costretto a mettere su una band all’ultimo minuto. Non avendo ancora un chitarrista, accetta il consiglio del suo amico Stan, che, guarda caso, è l’agente di Carlos da poche settimane.

L’esordio di Carlos Santana sarà memorabile e Carlos, da quel giorno, non guarderà più indietro. Quando suona a Woodstock, Santana è già universalmente riconosciuto come uno che “suona come un dio”, ma Carlos è umile, non dimentica da dove viene e non si fa distrarre dal successo e dai soldi facili. Quando, finita la sua performance, qualcuno nel backstage gli fa avere un paio di zatteroni di legno, Carlos sorride e fa in modo che Ines lo raggiunga subito dietro al palco. Ines lo abbraccia e lo saluta: partirà col suo compagno per la Nuova Zelanda e prevede di stabilirsi lì per i prossimi trent’anni. “Cosa indosseranno mai i miei piedi senza il tuo tocco magico?”.
Carlos si mette a ridere: “Ti prometto che, se fra trent’anni avrai ancora bisogno di me, farò in modo di spedirti scarpe anche laggiù”.

Recentemente, una giornalista di moda ha chiesto a Santana cosa lo avesse spinto a intraprendere l’avventura del brand Carlos Santana, per il quale egli stesso disegna, con successo mondiale, scarpe e accessori per donna e uomo. Il chitarrista non ha avuto esitazioni: “Una promessa fatta trent’anni fa”.

Testo Cristiana Turchetti

 

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