Recensione STEVEN WILSON – The Harmony Codex

A quasi tre anni dal precedente, profeticamente intitolato THE FUTURE BITES (pronto mentre esplodeva il Covid, fu ovviamente rimandato), il poliedrico Wilson torna con il settimo album, che si pone come un progetto originale, come è giusto che faccia un artista sempre attento. Praticamente realizzato in solitudine nel garage di casa (i musicisti aggiunti, infatti, tra i quali spicca nuovamente la voce intensa di Ninet Tayeb, hanno inviato i loro contributi che il leader ha poi inserito e, spesso, manipolato elettronicamente), l’opera si prefigge di rappresentare “un viaggio unico, un labirinto dove quasi ognuna delle 10 canzoni prende un approccio musicale differente”.

C’è molta elettronica, certo, ma anche parecchia melodia, e chi ama quelle atmosfere malinconiche a cui Wilson ci ha abituati negli anni non resterà deluso, a patto di prendersi la briga di andarle a estrapolare in un tessuto sonoro che sovente appare concitato, saturo, ipnotico. Oltre che le sognanti parti di chitarra, catturano soprattutto brani come What Life Brings (con armonie vocali che citano i Beatles e CS&N), Time Is Running Out (cadenzata da un ipnotico arpeggio di piano) e la conclusiva Staircase (con il ritmo ossessivo della batteria, un assolo di basso distorto e volate di synth). Tra le varie edizioni disponibili (ed è doveroso rimarcare una copertina d’incomprensibile bruttezza), è consigliabile quella tripla, con un Cd che include una versione alternativa di tutto l’album con gli interventi di artisti importanti quali Manic Street Preachers, Roland Orzabal e Mikael Åkerfeldt.

di Mario Giammetti

…Tratto dall'ultimo numero di Classic Rock 129

Mila Spada

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