È giusto rifare il trucco a un capolavoro?

Federico Guglielmi: Revisionismo o puntiglio senile?
“L’ultima cosa che vorrei è trovarmi un giorno a fare i conti con chissà quanti altri “redux” di album leggendari”

Il termine “giusto” è sfuggente, specie in riferimento a questioni di questo genere. Non essendoci una legge, una regola scolpita nella pietra, la giustizia dipende dalla visione di ciascuno. Prendiamo come esempio Roger Waters: è “giusto” che abbia deciso di realizzare il REDUX? Per lui, sicuramente sì: quella di THE DARK SIDE OF THE MOON era in larghissima parte la sua musica, aveva voglia di rimetterci mano per attualizzarla, un bel po’ di soldi in più certo non gli facevano schifo e, poi, perché rinunciare al piacere di indirizzare un metaforico ma tonante “sucate!” a Gilmour e consorte? Il punto, semmai, è se fosse opportuno rileggere, reinventare, alterare proprio un album così epocale, così radicato nell’immaginario di più generazioni di cultori dei Pink Floyd e di appassionati di rock. Hai voglia a ripetere, come fanno i seguaci della setta watersiana, che non si dovrebbero paragonare modello e rifacimento e vedere invece il REDUX come un disco nuovo: le canzoni sono quelle e lo stesso artefice dell’opera ha dichiarato l’obiettivo di ricrearle, come del resto rimarcato dal titolo.

Per come la vedo io, le pietre miliari sono monumenti che non andrebbero riadattati ai tempi che cambiano, men che mai da chi detiene il merito della loro ideazione

Cristiana Turchetti: Waters torna sulla luna
“Monet, Degas, Van Gogh, Dalí, per citarne alcuni, ripetevano lo stesso soggetto in più opere e, spesso, esisteva solo una piccola differenza tra i diversi lavori”

“Perché non ri-registriamo DARK SIDE?”, chiede Roger Waters all’inizio della sua nuova versione di Brain Damage, prima di ridere e aggiungere: “È impazzito!”. Forse, in realtà non è stato, per citare la frase di apertura dell’album originale del 1973, “pazzo da fottuti anni”, ma registrare una nuova versione di uno degli album più conosciuti e più venduti di tutti i tempi è davvero un’impresa bizzarra. Molti artisti (ad esempio i Flaming Lips) si sono confrontati con THE DARK SIDE OF THE MOON (ne esiste una versione reggae e perfino una di soli mandolini), considerandolo come un insieme di canzoni, quindi perché non dovrebbe farlo Waters, che è il paroliere e compositore della maggior parte di quelle canzoni? THE DARK SIDE OF THE MOON è stato un album spartiacque per i Pink Floyd. Un disco che, a dispetto del titolo, li ha portati a esplorare lo spazio interiore. La sperimentazione dei Pink Floyd con gli effetti sonori continuava, ma questi ora includevano interviste registrate sui temi della follia, della violenza e della morte. Sembra ancora un po’ irreale che qualcosa di così totalmente pessimistico possa avere avuto un successo commerciale spettacolare. I testi di Waters sono stati criticati come poesia di sesta forma, anche dallo stesso autore, ma la longevità della musica ha dimostrato che trasmettono un messaggio universale. In questa nuova versione dell’album, sul ritmo di Speak To Me, Waters fissa l’agenda recitando con disinvoltura i suoi testi da Free Four: “I ricordi di un vecchio nella sua vecchiaia sono le azioni di un uomo nel suo periodo migliore”. E a 80 anni, Waters è ancora con noi e desideroso di offrire nuove prospettive sul suo lavoro da giovane. L’album del 1973 termina con la criptica battuta finale: “Non esiste un lato oscuro della Luna, davvero. In effetti, è tutto oscuro”, il che mina la serietà di ciò che è accaduto prima – o forse lo amplifica…

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