Fuori oggi il nuovo CLASSIC ROCK!

"Domandarsi perché quando cade la tristezza in fondo al cuore, come la neve
non fa rumore..."

Intorno alle 17.30 del 21 maggio dell’anno scorso, mentre uscivo di casa per recarmi al concerto di Bruce Springsteen al Circo Massimo, mi arrivò una chiamata dal numero di Francesco Coniglio. Risposi tenendo goffamente il cellulare tra il mento e la spalla, perché in una mano stringevo la busta della spazzatura da lasciare nel cassonetto e nell’altra le chiavi di casa. Ma la voce che sentii non apparteneva a Francesco, bensì a suo fratello: Diego mi disse che Francesco stava molto male, che lui l’aveva trovato riverso sul suo letto in stato di semi-incoscienza e che stava aspettando l’ambulanza. Dimenticai il concerto, ovviamente. Fu l’inizio di un angoscioso incubo, che si protrasse per 46 infiniti giorni. Poi, la notte del 6 luglio, risposi a un’altra chiamata di Diego: Francesco non ce l’aveva fatta. Da allora sono trascorsi dodici mesi pesanti, dolorosi, che entrano di diritto nella top 5 dei “dodici mesi più complicati della mia vita”. Quando andammo a salutare Francesco per l’ultima volta, mi sentii mancare la terra sotto i piedi: erano 18 anni che ci sentivamo quotidianamente, che lavoravo con lui, che seduti al tavolo della sua cucina progettavamo nuove riviste o nuovi libri, che attendevo con ansia il suo ok quando trascrivevo una intervista o gli sottoponevo un’idea. Improvvisamente, tutto questo apparteneva al passato e io, come tutti gli amici che Francesco aveva riunito attorno a sé, mi scoprivo orfano e privo di una guida.

La vita è fatta così: ti prende a schiaffoni e poi ti obbliga a rimetterti in piedi come un automa, perché lo spettacolo deve continuare e chi si ferma è perduto. Tanto che dodici mesi dopo io mi ritrovo nella posizione scomoda che fu di Francesco, travolto da cose da fare, da mail a cui rispondere, da telefonate di persone in impaziente attesa di un sì o un no, da impaginati da correggere e mandare in stampa, da decisioni da prendere, senza mai avere un minuto per riflettere, per digerire le cose. La vita di Francesco era sempre stata così: faticosa e molto usurante. Ma anche bellissima, perché lui aveva il dono di godersi ogni singolo istante, ogni singolo incontro, ogni singola telefonata. Io un po’ meno. La sua risata contagiosa mi rimbomba ancora nelle orecchie, i suoi aggettivi sempre esagerati (“epocale”, “spaziale” ecc.) sono pian piano entrati anche nel mio lessico, la sua resistenza passiva alle “rogne” e ai rompicoglioni è diventata una preziosa lezione di vita. Vorrei tanto che l’orologio tornasse magicamente alle 17.30 di quel 21 maggio 2023. Vorrei sentire al telefono la bella calda voce di Francesco che mi dice: “Ci sei domani per cenetta da me con Michele, Franco e Mario?”. Vorrei che Francesco avesse avuto il tempo di piangere alle note di Now And Then. E vorrei che oggi potesse ascoltare il disco dei Life in the Woods, che aspettava da tanto e nemmeno ci sperava più. Vorrei che fosse tutto un brutto sogno. Vorrei.

Maurizio Becker

mauriziobecker@stonemusic.it

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