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Libri: leggere il GLAM ROCK

Un mo(n)do distante di fare musica e spettacolo che nei Settanta trova il suo apice. Guardi quello che passa sotto i tuoi occhi nel mondo musicale contemporaneo, che ricicla e ripensa, rivisitando, copiando e incollando nicchie oscure ai più, propinandole come novità, e ti accorgi che molti degli artisti di maggior successo trovano nel glam la loro sorgente di idee, identità e tradizione. Gli esempi sono innumerevoli e illuminanti, proposti in coda a mo’ di diario nel nuovo libro del giornalista e critico inglese Simon Reynolds. Tra i più significativi: Marilyn Manson propone nel 1998 il singolo The Dope Show e nel video cita Iggy Pop e David Bowie, vestendosi come se il Duca Bianco fosse stato catapultato a Hollywood, con il trucco glitterato in fronte e citazioni androgine a pioggia; nel 2001 i video a cartoni animati di Clint Eastwood dei Gorillaz e di One More Time e Aerodynamic dei Daft Punk resuscitano l’idea del gruppo virtuale proposta originariamente dagli Archies. Da qui in poi, le voci dei cantanti verranno sempre più virtualizzate con effetti sonori e di ingegneria del suono, tanto che sarà difficile riconoscerne il timbro (vedi il massivo uso del vocoder e poi dell’auto-tune) o addirittura i connotati, a causa della continua stabilizzazione a standard di bellezza inesistenti tramite l’utilizzo di Photoshop nelle foto e nei video musicali; sempre nel 2001, all’interno dell’Electroclash festival di New York e quindi con il mondo dell’elettronica da ballo più all’avanguardia del tempo, viene proposta una connessione con il glam, tramite cambi di costume, coreografie e altre tecniche teatrali, soprattutto nell’esibizione del duo Fischerspooner; nel 2008 Lady Gaga ringrazia Andy Warhol e David Bowie nel disco d’esordio THE FAME, sorta di manifesto del digi-glam.

Foto via: www.thetimes.co.uk/article/whats-on-tv-tonight-9bk6zcqcl

Il libro di Simon Reynolds "Polvere di stelle. Il glam rock dalle origini ai giorni nostri"

Nel libro, Reynolds parla con la precisione certosina del critico di un’era lontanissima ma impossibile da dimenticare. Va a scandagliare sia i nomi più importanti del genere (uno su tutti David Bowie, che ricorre in molti capitoli del volume, ma anche i Queen, Alice Cooper, Lou Reed, Iggy Pop, Marc Bolan, Bryan Ferry e altri), come pure quelli che per il lettore contemporaneo sono meno noti (Suzi Quatro, gli Sweet, Gary Glitter, i Mud, i Jet, i Silverhead etc.), delineando una storia che coinvolge per la maniacalità del dettaglio e per l’estrema intelligenza nell’analisi musicale. Dopo averci parlato nei suoi libri precedenti del post-punk,  della retromania, del rock e della musica elettronica da ballo, il critico inglese torna a bomba sul glam in un momento più opportuno che mai: il genere musicale è infatti una delle correnti che fa del trasformismo e della virtualità la sua ragion d’essere, pur utilizzando stilemi di decadi precedenti, in particolare il rock degli anni Cinquanta.
E non è quindi, mutatis mutandis, quello che ogni giorno sentiamo nel pop o nel rock più a noi vicino? La sapiente arte del travestimento definisce anche il nostro contemporaneo musicale, basandosi molte volte proprio su quanto gli artisti degli anni Settanta avevano proposto. L’analisi di Reynolds ci rivela anche i meccanismi del “dietro le quinte” di questi successi, diventando quindi un libro fondamentale per capire l’essenza del rock dei Settanta. Alle volte diventa un po’ troppo maniacale e dettagliata (come per esempio nel capitolo intitolato Teenage Rampage), ma in altre il distacco tipicamente inglese viene meno (in questo senso, le ultimissime pagine dedicate alla morte di Bowie sono una chiusa da capolavoro), e proprio in questi momenti sentiamo che l’autore ci guida in maniera inedita e intima attraverso territori e nomi già ampiamente analizzati da decine di libri di critica rock. In particolare, sono illuminanti tutti i capitoli su Bowie, ma anche quelli su Lou Reed, Iggy Pop, i Roxy Music, la cultura drag e le connessioni con il glitter e il trash, il cosiddetto baroque’n’roll degli Sparks e dei Queen (stupenda l’analisi delle connessioni con l’arte e la letteratura inglese nella scelta delle frasi di Mercury). Un libro lungo più di seicento pagine nella versione  inglese, più di settecento in quella italiana, ma che non stanca e va letto almeno da chi crede di conoscere bene gli anni Settanta.

 

Questo articolo appare originariamente nel numero di novembre 2017 di Classic Rock Italia.

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