DEEP PURPLE: la copertina del mese

Foto via: www.unipolarena.it

The never ending story

Ian Paice c’è stato sempre, dalla nascita dei Deep Purple, fino ad oggi. Chi meglio di lui può sapere la verità? Quest’avventura sta davvero per finire?

La line-up dei Deep Purple è una delle più frastagliate della storia del rock, tanto da rendere necessario semplificarne le varie ramificazioni in Mark I, Mark II e
così via. In quasi cinquant’anni questa band ha cambiato quattro vocalist, tre chitarristi, tre bassisti e due tastieristi.

Un solo strumento non è mai cambiato, quello alle spalle di tutti: la batteria millimetrica, virtuosa e dal gusto inconsueto in ambiti hard rock di Ian Paice, il piccoletto di Nottingham che, fino a pochi mesi fa, non aveva mai saltato un concerto. Nel giugno del 2016, infatti, Paice fu colpito da un leggero ictus, da lui stesso, pochi giorni dopo, così raccontato: “Al momento soffro solo di una leggera insensibilità sul lato destro del viso e una sensazione di formicolio alla mano destra. Ma non è niente di grave. Mi spiace solo di non poter suonare ai concerti in Svezia e Danimarca. Sono i primi che mi perdo dal 1968! Ma tornerò presto”.

E, infatti, già nelle date italiane di luglio, Ian era regolarmente al suo posto. Ci è sembrato allora opportuno raccontare il presente (un bel nuovo album intitolato INFINITE) e il passato dei Deep Purple proprio con l’unico che c’è stato sempre, fin dal primo giorno. Magari più lontano dalla luce dei riflettori riservati a un Blackmore, un Gillan o uno Hughes, ma non per questo meno importante.

INFINITE è l’album numero 20 dei Deep Purple. Una lunga strada! Ma come nasce una canzone dei Deep Purple in questa fase della band?

“Al 90 per cento si tratta di jam. Qualcuno comincia con un’idea e, se è buona, qualcun altro si unisce. È dunque un processo naturale che parte da un riff di chitarra di Roger, una piccola melodia di Steve, una mia idea ritmica… Poi dipende da quanto piace a ognuno di noi quello che sente: da lì proseguiamo per verificare dove ci porta l’immaginazione, cercando di aggiungere qualcosa che abbia un senso. Perché migliaia di pezzetti musicali creati dai musicisti non necessariamente si trasformeranno in una canzone, perlomeno fin quando qualcuno non scriverà un testo o una linea melodica. Puoi quindi girare due o tre ore intorno a un’idea che ti sembra buona, ma poi devi metterci su una bella melodia, oppure ricominciare da qualcosa di più semplice che proverai a rendere progressivamente più complicato. La cosa fantastica di fare jam è che non esiste un format, hai la totale libertà di cambiare qualunque cosa, mentre se uno arriva già con un’idea completa allora puoi solo lavorare per farla funzionare bene. Ma per noi è sempre stato così: il 90 per cento della musica che abbiamo sempre creato, anche ai vecchi tempi, è nato da jam che hanno catturato le reazioni di tutti i musicisti coinvolti.”

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