MY PUNK GENERATION: i Decibel e Enrico Ruggeri

Foto via: www.iodonna.it

40 anni fa, i Decibel portarono il punk nelle case degli italiani. Parla Enrico Ruggeri.

La reunion più inattesa del 2017 è quella tra Enrico Ruggeri, Silvio Capeccia e Fulvio Muzio, i tre amici del liceo Berchet di Milano che nel 1980 scioccarono il  pubblico di Sanremo con il loro look punk e la canzone new wave “Contessa”. Abbiamo chiesto a Enrico Ruggeri di raccontarci i retroscena del nuovo album NOBLESSE OBLIGE, giunto a 37 anni dallo scioglimento dei Decibel, e a 40 dall’esplosione del punk in tutto il mondo.

Sul pezzo  apripista, My My Generation, citi tutti i vostri numi tutelari: “Roxy Sparks Sex Pistols Stranglers Clash…”.

“Be’, al di là della citazione palese agli Who, è una dichiarazione d’intenti. Ma è anche un ribadire che oggi la generazione del rock è una generazione adulta. Sono quelli che quando io ero bambino ascoltavano la musica classica. Cioè: quando io ero bambino, negli anni Sessanta, i “cuori semplici” ascoltavano Claudio Villa o  la musica leggera. Quelli che avevano invece i genitori di un altro livello, avevano il genitore che ascoltava von Karajan nell’Eroica. E oggi un po’ è la stessa cosa.  Ci sono quelli che hanno i genitori che ascoltano musica semplice e quelli che hanno genitori che ascoltano il rock. Quindi, ha preso il posto della musica classica. Con mio figlio – io ho un figlio di 11 anni – noto la differenza. Quando io da ragazzino volevo fare arrabbiare mia madre – volevo ribadire la mia autonomia –  magari mettevo i Black Sabbath. Mia madre aveva appena finito di suonare Chopin e si beccava i Black Sabbath. Oggi mio figlio, che quando era piccolo ascoltava i Joy Division, quando vuole ribadire la sua autonomia dal padre, mi mette su Rovazzi. Perché nessuna musica rock che lui potrebbe mettere mi scandalizzerebbe, ovviamente. Quindi, come fa un bambino di 11 anni figlio di Enrico Ruggeri a ribadire la sua autonomia dal padre facendolo un po’ incazzare? Mettendogli Rovazzi.”

O anche il rap, magari. C’è qualcuno che lo considera una specie di nuovo punk.

“Guarda, l’ho pensato. E penso che all’estero sia ancora così. Purtroppo, in Italia è stata un’occasione persa. Io in più interviste qualche anno fa ho detto: è il nuovo  unk, il rap. Ma oggi mi sembra veramente in ostaggio del pop, delle bambine, delle ragazzine. I concerti rap [dei nomi] più famosi hanno un pubblico di  dodicenni. Vedi, il rap poteva esserlo. Aveva delle caratteristiche comuni. Veniva dal basso. Era obbligato a fare dei bei testi, perché non avendo un tessuto  musicale ampio, poteva diventare il nuovo punk, potevano diventare i nuovi cantautori… Io avevo grandi aspettative sul rap. Poi, invece, è andata come è andata.”

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