Isola di Wight: l’atto finale della stagione hippie

Alla fine dei Sessanta l’isola di Wight visse la sua prima esistenza ospitando il più grande festival mai tenuto in Gran Bretagna. E, forse, anche l’atto finale della stagione hippie.

E’ la fine del 1968: per la seconda edizione del festival che dirige insieme al fratello Ron, Ray Foulk vorrebbe un nome veramente grande.
Avevamo bisogno di un gigante”, ricorderà nel 2015 all’«Independent», “E i giganti allora erano Elvis Presley, i Beatles e Bob Dylan”. Elvis, però, è inimmaginabile in un raduno all’aperto e i Fab Four ormai da un anno hanno chiuso con l’attività live.

Rimane Dylan, ma anche con lui l’impresa è ardua. Dopo l’incidente con la Triumph Tiger del 1966, infatti, a parte sporadiche apparizioni non ha più fatto concerti e non sembra particolarmente eccitato all’idea di tornare a farli. Forte di esperienze come organizzatore di piccoli eventi per il CND (Campaign For Nuclear Disarmament) e il Labour Party, Ray non difetta però d’iniziativa: trovato l’indirizzo del manager dell’artista su un giornale underground, non ci pensa due volte e gli scrive. In quei giorni, per avere Dylan di nuovo dal vivo sono in molti ad aver pronti assegni alquanto sostanziosi, e invece il portafoglio dei fratelli Foulk è lungi dall’essere adeguato. In compenso, i due hanno un’idea che potrebbe solleticare il poeta Dylan: offrire a lui e alla sua famiglia una vacanza in un bellissimo luogo legato a poeti come Alfred Tennyson, Algernon Charles Swinburne, Edward Lear e John Keats.

Foto via: beatlephotoblog.com

Così, gli inviano un po’ di materiale che mette bene in risalto le bellezze naturali e culturali dell’isola. Ed evidentemente toccano la corda giusta: all’epoca esule nel verde di Woodstock e alquanto infastidito dai fan che gli fanno la posta, Dylan mostra interesse e dopo un incontro a New York cede alla lusinga. Andare a Wight per lui è soprattutto una vacanza, come all’epoca la definisce a un giornalista, e in effetti dopo il concerto si guarderà bene dal riprendere l’attività live fino al 1974. È, però, una vacanza ben retribuita, visto che i Foulk s’impegnano a garantirgli un notevole cachet, circa 40.000 sterline di allora, più le spese e i compensi per la Band e Ritchie Havens. Ma ne vale la pena: presentare Dylan, per di più dopo che poche settimane prima aveva deluso le attese di chi lo avrebbe voluto al festival di Woodstock, è un richiamo pazzesco e lo sforzo economico va fatto se i fratelli vogliono veramente rendere, come desiderano, la loro creatura uno dei più grandi eventi pop mai tenuti in Inghilterra.

L’organizzazione del festival all’isola di Wight

Situata sulla Manica a venti minuti di battello da Portsmouth, l’isola di Wight ha la curiosa forma di un diamante ed è larga 381 chilometri quadrati. È qui che nella seconda metà dei Sessanta Ron, un ventiquattrenne che vende immobili, e il ventitreenne Ray, allora stampatore e più tardi curatore di mostre d’arte nonché attivista per l’ambiente, si mettono intesta di organizzare un concerto per finanziare la costruzione di una piscina coperta. Aiutati dal fratello minore Bill  dal poco diplomatico show producer Rikki Farr, mettono su la Fiery Creations Limited e individuano la location giusta nella Ford Farm, dalle parti di Godshill.

«In migliaia applaudivano una ragazza che ballava nuda davanti al palco. Indossava solo una bandana rossa e aveva braccia e naso dipinti di rosso» The Observer

Evidentemente non proprio aggiornato sulla materia, inizialmente Ray pensa di invitare come headliner Billy Fury e Adam Faith, glorie britanniche del rock’n’roll ora un po’ scolorite. Poi, però, Bill e Ron raddrizzano il tiro e il cartellone si tinge di psichedelia: come attrazione principale ci sono i Jefferson Airplane e con loro sfilano i Crazy World of Arthur Brown (il diabolico Fire è un inno del 1968), i Move, i Fairport Convention, i Tyrannosaurus Rex, i Plastic Penny, i Pretty Things, gli Orange Bicycle, i MirageAynsley Dunbar’s Retaliation, i Blonde on Blonde, gli Smile, gli Halcyon Order e i locali Cherokees.

A presentare il concerto, che si tiene dalle 6 del pomeriggio del 31 agosto al mattino del giorno successivo, c’è John Peel e a rispondere sono circa diecimila spettatori, che si ritrovano in un’area descritta come una fogna aperta in una serata piuttosto fredda e piovosa. Spostarsi si rivela piuttosto complicato per la disorganizzazione dei mezzi offerti e l’impianto audio spesso zoppica. I Move, per esempio, fanno saltare nove amplificatori e i Jefferson non riescono ad ascoltarsi tra di loro sul palco, con i prevedibili risultati in termini di suono. Però la band di San Francisco fa parecchia presa sul pubblico dal punto di vista scenico e le liquide slide in continuo movimento che l’accompagnano autorizzano il probabilmente non proprio lucidissimo Dick Taylor dei Pretty Things a paragonare il loro set a “una nave vichinga”.

Foto via: teamrock.com

Questo articolo appare originariamente nel numero di Classic Rock #57! Disponibile sullo store online.

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