The Next Big Flop: One The Juggler

Nel 1983, per i One the Juggler le cose stanno per mettersi bene, o almeno così sembra: e invece…

È il 4 febbraio 1983, e per gli emergenti One the Juggler le cose stanno per mettersi bene, o almeno così sembra: tutto indica che sono in procinto di fare il grande balzo e diventare una delle “top band” di tutto il Regno Unito. Dopo anni di gavetta e di fatiche nel circuito dei pub londinesi, sul finire del 1982 hanno firmato con la major Regard, affiliata alla RCA che ha già portato al successo il duo pop Haysi Fantayzee (la cui John Wayne Is Big Leggy ha spopolato in tutta Europa), e subito dopo sono entrati in studio assistiti dal leggendario produttore Chris Thomas, uno che in passato ha lavorato con artisti del calibro di Roxy Music, Elton John, Paul McCartney, Pete Townshend e Sex Pistols.

Inoltre, a inizio anno Paula Yates, influentissima conduttrice dello show tv The Tube, ha profetizzato dalla sua colonna su News of the World che One the Juggler sono una delle band “destinate a diventare delle star” del 1983. Quella sera del 4 febbraio, come tutti i venerdì, sta per andare in onda proprio The Tube, e la Yates ha preteso e ottenuto che la première del sontuoso video realizzato dal film-maker (oltre che dj e futuro membro dei BAD di Mick Jones) Don Letts per il primo 45 giri degli One the Juggler, Passion Killer, abbia luogo proprio durante la sua trasmissione, in una scaletta da sogno che comprende anche i live di Paul Young e degli Aztec Camera e il ritorno in scena, dopo lunga assenza, di David Bowie con la clip di Let’s Dance.

È un’occasione favolosa, di quelle che non capitano tutti i giorni, ma paradossalmente è proprio quella sera che qualcosa inizia ad andare storto. “Il problema”, racconta Lushi alias Jerry T. Jones, bassista del gruppo, “fu che il nostro manager [Pete McCarthy] se ne andava in giro a fare promesse a tutti. Prometteva delle esclusive. Noi avevamo un accordo con The Tube perché loro fossero il primo show a trasmettere il video. Ed era fantastico, no? Però all’epoca c’era un altro show televisivo, chiamato The Oxford Road Show trasmesso da un canale rivale [BBC2]. E il nostro manager si accordò perché apparissimo anche in questo show, così lì ci abbiamo suonato dal vivo. E purtroppo la nostra performance andò in onda la stessa sera della cosiddetta “esclusiva” con The Tube. Così, allo stesso tempo abbiamo fatto incazzare due programmi televisivi molto importanti! E loro non dimenticano queste cose”.

Tutti andarono nel panico!

Oltretutto, una volta messo in commercio, Passion Killer non riesce a superare la soglia – cruciale – della 40esima posizione in classifica. A quel punto, ricorda ancora Jerry T. Jones, “[alla Regard] andarono subito tutti nel panico: ‘Facciamo uscire in fretta un altro singolo’. E anche quello non ebbe successo” Al di là degli svarioni del management, il problema degli One the Juggler resterà, fino alla fine, la loro difficile classificazione. In un’epoca post-punk e pienamente New Romantic, in cui l’immagine la fa da padrona, loro una rock’n’roll band con radici ben salde nel classic rock dei Faces e dei Kinks e nel glam di Bowie e di Mott the Hoople.

Le loro origini risalgono ai tardi anni Settanta, quando Rokko alias Sham Morris (cantante e chitarrista) e Lushi alternavano le performance con la punk band The Reptiles, nota per i suoi elettrizzanti show nei pub a sud di Londra, al busking in varie zone della città. Man mano, con l’aggiunta del chitarrista ronsoniano Colin Minchin, del batterista Simon Nicol (proveniente da Eddie & the Hot Rods) e del sassofonista Ian Trimmer, i Reptiles si erano tramutati in One the Juggler, un nome che, spiega ancora Jerry T. Jones, “credo sia stata un’altra trovata del nostro manager. Ha a che fare con i tarocchi: la prima carta del mazzo raffigura il ‘giocoliere’. E quindi: uno, il giocoliere”.

Del resto, in questi anni 80 in cui “bisogna” avere un’immagine, anche gli One the Juggler sviluppano un look zingaresco simile a quello dei Dexys Midnight Runners ma che, dice Jerry, è invece ispirato a quello “da furfantello di Ronnie Lane”. Fondamentalmente, gli One the Juggler sono un’impetuosa rock band dal vivo (in un momento in cui in Gran Bretagna non ce ne sono molte: forse solo i gallesi Alarm e gli scozzesi Big Country) ed è grazie alla fanbase sviluppata durante i concerti e a qualche demo assai promettente che destano l’attenzione della Regard.

E tuttavia, ricorda Jerry T. Jones, “[la Regard] volle dimostrare alle etichette concorrenti quanto sarebbe suo-ata bene la nostra band in un grande studio di registrazione, con un produttore di nome. Era una questione di prestigio. Ora, io Chris Thomas credo che sia uno dei migliori produttori di sempre. Ma a quel tempo lui non sapeva proprio cosa farsene di noi. Non riuscì a ottenere delle buone sonorità né dalla batteria né dalle chitarre. Suona tutto molto fiacco”. Se Passion Killer, dalle sonorità alla Roxy Music, dopo la débâcle con The Tube resta fuori dalla Top 40, il singolo successivo Django’s Coming non ottiene risultati migliori.

Ma la Regard continua, per un po’, a insistere. “Il motivo per cui continuavano a credere in noi è che eravamo una buonissima live band”, ricorda Jerry. “In quel periodo abbiamo suonato come supporto per Elvis Costello, per i Big Country e per gli Eurythmics. Eravamo un’ottima band di supporto per questi grandi artisti, quindi si pensava che fosse solo una questione di tempo prima di avere successo”. La svolta, sul piano musicale, avviene con il cambio di produttore: fuori Chris Thomas, dentro Steve Short (già con Echo & the Bunnymen) che riesce finalmente a catturare l’incisivo suono della band dal vivo.

Ma anche i due singoli successivi, le gagliarde Damage Is Done e Are You The One, fanno un buco nell’acqua, forse perché, come ritiene Jerry T. Jones, “il nostro slancio si era affievolito a quel punto”. Fatto sta che l’Lp NEARLY A SIN esce davvero fuori tempo massimo, nella primavera del 1984, nell’indifferenza di pubblico e media. Anche perché ormai la Regard ha perso qualsiasi interesse negli One the Juggler, e non li sta neanche più promuovendo. Contrattualmente, però, la band deve all’etichetta ancora un Lp.

A produrlo viene interpellato nientemeno che Mick Ronson. Quello che Rokko e Lushi però non sanno è che l’ex chitarrista bowiano “non stava attraversando un gran periodo della sua vita. Non aveva molti soldi, e se ne andava in giro a produrre quante più band gli era possibile. Ma il principale problema che avemmo con lui è che ovviamente volevamo che suonasse la chitarra sull’album. Chi non l’avrebbe voluto? Ma lui era del tutto fuori allenamento con la sua chitarra nel momento in cui ha lavorato con noi.

Ed l’ultima cosa che è andata sulle canzoni. Gliel’abbiamo anche cancellata dall’album (ride). Ma il fatto è che fin dall’inizio abbiamo pensato che lui avrebbe suonato la chitarra. E Colin l’ha presa male e se n’è andato dal gruppo”. SOME STRANGE FASHION, che vede la luce nell’estate del 1985, è oggi disconosciuto in toto dalla band. Ricorda Jerry: “Ci dicevano: ‘Il vostro sound non funziona, cerchiamo di modernizzarlo un po’”. Prince era appena uscito con PURPLE RAIN. Noi amavamo quell’album, però non aveva niente a che vedere con la nostra musica. Ma siamo arrivati in studio e abbiamo iniziato a usare queste drum machine, il Fairlight e questo tipo di cose. In qualche modo, si è trattato di un tentativo disperato di modernizzare il nostro sound. Con il senno di oggi, avremmo fatto meglio a produrlo da soli. Ma la casa discografica probabilmente non l’avrebbe fatto uscire: eravamo alla loro mercé. Io credo che ci siano delle buone canzoni [sul secondo album] ma non mi piace per niente il sound”.

Il nuovo flop di SOME STRANGE MOMENT, insieme alla dipartita di Colin Minchin, porta all’inevitabile scioglimento del gruppo: Rokko, trasferitosi in America, formerà gli Spiv UK, mentre Lushi (Jerry T. Jones) dopo una breve parentesi nel trio electro-pop Boom Boom Room, si dedicherà al suo progetto, tuttora attivo, Glamweazel, un mix di glam e di psichedelia anni 60, di cui fa parte anche Colin Minchin.

Di One the Juggler si è tornato però a parlare nel 2009 con la reunion per il concerto del 25esimo anniversario in un pub di Londra, e nel 2015, con la ristampa su Cd di NEARLY A SIN. In quel momento, molti hanno capito che si trattava probabilmente di un gruppo unico – artefice di una futuristica fusione tra il rock dei Mott the Hoople e quello dei Faces, passati entrambi al frullatore del punk – e che solo le contingenze di quel particolare periodo che fu il biennio 1983-1984 gli impedirono di sfondare come avrebbero meritato. Oltre, naturalmente, a un manager fin troppo spregiudicato.

“Non so che fine abbia fatto”, dice Jerry, “ma oggi credo che sia troppo tardi per denunciarlo per mala gestione, 30 anni dopo il fatto! (ride) Lui era molto bravo a ottenere dei contratti per le sue band. Per esempio, fece avere un contratto ai Southern Death Cult, e anche a qualche altra band. Era molto bravo in questo, ma purtroppo, come manager non era certo Malcolm McLaren!”

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