Un’intervista esclusiva a Mimmo Dabbrescia, uno dei fotografi più importanti del mondo musicale. Ecco cosa ci svela sulle sue foto a De André.
Mimmo Dabbrescia nasce a Barletta nel 1938, arriva a Milano nel ’53 e nei primi anni Sessanta lavora come fotoreporter al «Corriere della Sera», prima di mettersi in proprio; fotografa Dalí, Clint Eastwood, Eugenio Montale, Orson Welles, Richard Burton, i Beatles. E gli italiani. Tanti. Tutti. Quando la discografia inizia a perdere colpi, la nuova idea, buttandosi nel mondo dell’arte. Ma prima, tra i tanti cantanti italiani fotografati troviamo Fabrizio De André, ecco il suo ricordo:
Come nasce il sodalizio con Fabrizio De André?
La casa discografica aveva bisogno di posati e lui non aveva mai tempo. Lo chiamo, prendo appuntamento, vado a Genova, in corso Italia con la mia Fiat 500. Mi riceve Puny, sua moglie, donna deliziosa: accomodati, fa caldo, vuoi bere qualcosa? Sono qui per Fabrizio. Hai un appuntamento? Non c’è. Ma come… Lei lo rintraccia a Londra, e lui: “Belìn, me lo ero proprio dimenticato. Scusa, ci vediamo fra due giorni”. Io due giorni dopo sono tornato, c’era e da quel momento ho trovato sempre la porta aperta. L’ho fatto camminare scalzo sui ciottoli del lungomare; ho una foto ‘osé’ per quegli anni – era il 1969 – con la moglie e un’amica figlia di un console, con le gambe nude sin sopra al ginocchio.
Qual è la tua foto che secondo te lo rappresenta al meglio?
Bianco e nero, rilassato, coi mocassini senza calze, in casa sua, nel suo spazio. Mi diceva: “Belìn, ma cosa ne fai di queste foto… belìn, ne stai guadagnando di soldi”. Finito il reportage, ci si sedeva a parlare di tutto, ma con le macchine in borsa.
L’intervista completa a Mimmo Dabbrescia su Vinile numero 22, sul nostro store online.