I Queen negli anni 70: scopri i successi e gli eccessi del gruppo inglese!

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Non so se la storia dei nani sia vera. Io non li ho visti. Ma devo ammettere che la maggior parte dei resoconti di quella serata non sono esagerati (Roger Taylor)

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Nel dicembre 1976 fu pubblicato il nuovo disco, A DAY AT THE RACES, e la copertina suggeriva si trattasse di un seguito di A NIGHT AT THE OPERA. Come lo stesso May osserva, “per me, i due dischi viaggiano affiancati”. Se Tie Your Mother Down era un rock diretto e senza divagazioni, c’erano orizzonti più allargati nell’odissea proteiforme e ricca di overdub di The Millionaire Waltz e nello stile jazz & vaudeville di Good Old-Fashioned Loverboy. Tra tutti, il sapore gospel di SomebodyTo Love aveva la caratura del classico, spingendo la canzone al n.2 come singolo, anche se la sua pubblicazione avveniva in contemporanea a quella di Anarchy In The UK dei Sex Pistols e in qualche modo annunciava il cambio della guardia.

Nick Kent del «NME» definì A DAY AT THE RACES “al di sopra di tutto, grottesco”, eppure all’alba del 1977 i Queen avevan omesso a segno un secondo n. 1 consecutivo in classifica e un tour USA con i Thin Lizzy.

Con A DAY AT THE RACES al n. 5 negli USA e arene importanti come il Madison Square Garden che si riempivano, i Queen finalmente si sedevano a capotavola in America, e Mercury ne era consapevole: in quel tour pretese ad esempio un buffet servito su piatti di argento dopo ogni concerto, mentre i suoi appetiti, non solo per la cocaina, crescevano a dismisura. “All’improvviso”, ricordava May, “in camera sua lo seguivano ragazzi, e non più ragazze”.

Tornati in Europa, pur con il punk sulla cresta dell’onda, i Queen dal vivo erano inarrestabili, e sul palco ormai le scenografie erano folli: a Earls Court svelarono un impianto luci a forma di corona che da solo costava 50.000 sterline. E anche se il disco successivo, NEWS OF THE WORLD, fu un po’ raffazzonato (escluse gemme molto sottovalutate come It’s Late e Get Down, Make Love di Mercury, molto r&b e ispirata – secondo il cantante – al suo “sputtaneggiare” newyorchese), i due brani di apertura erano perfetti per gli stadi.

‘Sta succedendo qualcosa, e dovremmo sfruttarlo’.

“Ci rendemmo conto di una cosa”, mi disse May, “e successe a Bingley Hall nelle Midlands, dove il pubblico cantò ogni singola nota di ogni singola canzone. Io e Freddie ci guardammo e pensammo: ‘Sta succedendo qualcosa, e dovremmo sfruttarlo’.

Ecco da dove vengono We Will Rock You e We Are The Champions. Sono viscerali, ma erano pensate per coinvolgere il pubblico, un invito esplicito a unirsi a noi”. I brani furono pubblicati come 45 dal doppio lato A, e arrivarono al n. 2 in UK e al n. 4 negli USA.

Spinti dal successo nelle classifiche USA di NEWS OF THE WORLD, i Queen fecero due sold out al Madison Square Garden a dicembre, con l’impianto luci a forma di corona che sparava laser sulla folla. “Cercavamo sempre di fare di più”, disse May. “Un milione di dischi quest’anno, due quello dopo. Stavolta un sold out al Madison Square Garden, due la prossima…”.

E anche gli eccessi s’ingigantivano. Per la festa di Halloween del 1978, i Queen organizzarono un party da 200.000 dollari per la pubblicazione di JAZZ, settimo disco in studio, al Fairmont Hotel di New Orleans, dove erano presenti “ogni freak disponibile”, una banda di ottoni e – dicono le fonti – un gruppo di nani con ciotole di cocaina sulla testa che giravano tra gli invitati.

“Non so se la storia dei nani sia vera. Io non li ho visti”, minimizzò Roger Taylor rispondendo al biografo dei Queen, Blake. “Ma devo ammettere che la maggior parte dei resoconti di quella serata non sono esagerati”. Una volta tanto, il mito è più affascinante della musica.

Per evitare le tasse inglesi, i Queen avevano registrato JAZZ ai Mountain Studios di Montreux e ai Superbear Studios di Nizza. Avevano anche richiamato Baker come produttore. Il disco presenta momenti molto forti. Si dice che Bicycle Race nasca dall’ossessione di Mercury per il Tour de France, anche se il brano contiene anche riferimenti della cultura pop anni 70 come Lo squalo e Star Wars e oscurò il nome dei Queen con 65 cicliste nude nei video promozionali.

Il brano migliore di May fu la salace Fat Bottomed Girls, scritta assieme a Mercury, che pare parli della seduzione reciproca tra il cantante e una baby-sitter sovrappeso. Ma quando a novembre JAZZ fu pubblicato, il n. 2 inglese e il n. 6 americano non riuscirono a nascondere che quei due brani, più l’effervescente Don’t Stop Me Now, erano gli unici acuti in un disco che annaspava nel banale (vedi Fun It di Taylor) e soffriva la produzione troppo fredda di Baker.«

Rolling Stone si chiese “perché qualcuno dovrebbe perdere tempo con questi sfigati?”, e tre quarti del gruppo non rimasero soddisfatti.

“All’epoca di JAZZ, a nessuno di noi piaceva quello che facevano gli altri”, ammise May. “A essere sinceri, c’erano volte in cui fuori dal palco non ci sopportavamo”. Ma quando entravano in scena, i Queen regnavano indisturbati, il loro affiatamento quasi telepatico toccò i suoi massimi livelli nel Crazy Tour, che si sviluppò alla fine del decennio, in locali da 2000 spettatori che riuscivano a malapena a contenerli.

Come notò Taylor riguardo a LIVE KILLERS, il disco pubblicato nel giugno 1979 che raccoglie le entusiasmanti performance di quel periodo, “trovo ancora straordinario che noi quattro da soli riuscissimo a fare così tanto casino”.

C’era alle porte un’altra decade di straordinario casino, con Crazy Little Thing Called Love a dare il via ai Queen anni 80. Ascoltando oggi LIVE KILLERS, si coglie l’istante appena prima che i Queen diventassero una band ugualmente popolare, ma molto diversa da quella degli anni 70.

Ci sarebbero stati altri momenti di gloria, da THE WORKS fino all’esibizione al Live Aid. Ma, come disse unav olta Bruce Mercer, dirigente EMI ormai scomparso, a proposito del gruppo che aveva messo sotto contratto nel ’73, “i Queen erano assolutamente perfetti per gli anni 70”.

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