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5 interpreti del progressive rock e i loro iconici costumi

Se il prog vive di fantasia, fiabeschi virtuosismi,  sonorità fantascientifiche e spettacolarità, l'estetica dei suoi interpreti non può che essere trasformista: ecco 5 figure che hanno saputo ammaliare e ipnotizzare gli spettatori.

Ian Anderson, Jethro Tull

Sangue scozzese e folta corona di ricci rossi, Ian Anderson è il paladino indiscusso del flauto. Non solo, perché con il suo ventaglio di strumenti - flauto, chitarra, bouzouki, mandolino, armonica, ma anche basso, sassofono, tastiere, violino e trombone - oltre all’immancabile voce, Anderson è un raro talento. La sua verve artistica affiora a metà degli anni Sessanta, come frontman dei Jethro Tull. E l’aura medievale incanalata nelle melodie del gruppo si traspone anche nei costumi da palcoscenico. Come un menestrello di corte o il pifferaio magico, Anderson si veste di calzamaglie bicolore e stivali stringati, su camicie e giacche di gusto rinascimentale. Ma la chicca d’eccezione affiora in quella chiamata in inglese come codepiece. Si tratta di una custodia simile alla conchiglia del rugby, che riveste il cavallo dei pantaloni – o non pantaloni nel caso di Anderson – in un accessorio indimenticabile.

Keith Emerson, Emerson, Lake & Palmer

Per il mago alle tastiere degli Emerson, Lake & Palmer, la presenza scenica è fondamentale. Così, se ai primissimi esordi i musicisti con cui suonava gli consigliavano di prendere una pastiglietta di Preludin, lui voleva che a guidarlo fossero le performance pirotecniche degli Who e di Jimi Hendrix. Anche se la sua prima ispirazione stilistica gli venne da Don Shinn, un organista del Marquee Club di Londra che si vestiva in maniera stravagante e beveva whisky da un cucchiaio. E lì scatta la scintilla per una maschera da palcoscenico sempreverde. Quella che riflette il fascino di Emerson tra giacche sfrangiate o intessute di colori abbaglianti. Uno dei suoi outfit più brillanti risale al 1970 e consta di un completo luccicante blu e verde. 

Derek Dick "Fish", Marillion

La band nata sulla fioritura narrativa fantasy di J. R. Tolkien originariamente si chiamava Silmarillion, in omaggio all’opera epocale. In seguito evolvette in Marillion, con il frontman Derek Dick, che si fa chiamare Fish per la sua passione a sostare ore interminabili nell’acqua. La sua performance è sinonimo di maschere di trucco fosforescente e travestimenti pittoreschi e ipnotici, degni di uno stregone da palcoscenico. Ogni performance è diversa dalla precedente e ammalia lo spettatore in una concatenazione di poesie mitologiche. La sua è una vera e propria forma di body art, che racconta la musica attraverso un volto mutaforme. Così i Marillion, cresciuti sulle basi dei Genesis e dei Van Der Graaf Generator, traspongono le loro complesse melodie in un’opera teatrale, con il suo giullare malinconico.

Chris Squire, Yes

Tra lo stregonesco tastierista Rick Wakeman, portavoce dei primi anni Settanta e lo storico fondatore, bassista e cantante Chris Squire, la lotta stilistica è dura. Tuttavia per longevità e polimorfismo estetico la medaglia va a Squire, che con il suo basso a tre manici conquista già tutti in partenza. Così lo vediamo destreggiarsi sulla scena in completi fluidi, policromatici e dal sapore orientale, che riposa nella fantasia stilistica e in quelle maniche a pipistrello volteggianti. Ma la sua cura del dettaglio richiama una primitività inconscia, vezzeggiata su modelli di abiti affini ai kimono. Anche in questo caso l’estetica del costume abbraccia lo stile musicale della band, elegante, sofisticato, ricercato, ma romantico, intimista e profondamente coinvolgente.

Peter Gabriel, Genesis

E non poteva mancare il chiromantico frontman dei Genesis che, sin dal 1973, concretizzò la sua anima da eccentrico trasformista. La teatralità appartiene alla sua narrazione fiabesca, che si affida a vesti disturbanti e affascinanti. Tra queste l’iconico costume da girasole, che lo accosta a un celebre outfit del poeta e chitarrista dei Soft Machine, Daevid Allen. Ma chi dimentica il copricapo da pipistrello è complice e sicuramente il Rainbow Theatre di Londra è infuso di tutta la magia circense che Gabriel ha potuto donare al palcoscenico. E tra gli indimenticabili outfit spicca anche il vestito rosso della moglie, contornato da una maschera da volpe, simbolo dell’esibizione del 28 settembre 1972 a Dublino, sulle note della leggendaria Musical Box. Così la vocazione carnevalesca dell’originalissimo cantante detta delle fondative basi stilistiche e raggiunge tutti coloro che non si stancano mai di sognare.

Francesca Brioschi

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