Caffè, genziana e Yes: Le Orme raccontano com’è nato COLLAGE

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Dopo mezzo secolo, COLLAGE de Le Orme torna in classifica grazie a una splendida ristampa in vinile. Un ottimo pretesto per farci raccontare com'è nato il primo album prog italiano.

Nel 1969 AD GLORIAM, l’album di debutto de Le Orme, quintetto veneziano formato da Aldo Tagliapietra (voce e chitarra ritmica), Nino Smeraldi (chitarra), Claudio Galieti (basso), Michi Dei Rossi (batteria) e Tony Pagliuca (organo), prova a gettare un sasso nello stagno della musica italiana.

Venivamo tutti dal beat”, ricorda Tagliapietra, “come del resto i Pink Floyd, per cui ci venne naturale abbracciare anche la corrente psichedelica, ispirati da Jimi Hendri”.

Il riscontro, però, non è entusiasmante, nonostante il discreto interesse ottenuto dal singolo Senti l’estate che torna. Poi succede che Smeraldi (principale autore e arrangiatore di tutte le canzoni) lascia il gruppo e, di lì a poco, come racconta Aldo,

Claudio e Michi andarono militare. Ci eravamo formati da poco ed ecco che arrivarono le fatidiche cartoline, come accadeva un po’ a tutti in quegli anni. Non era facile avere una formazione stabile.

Con l’inglese Dave Baker alla batteria, dopo aver cercato per un po’ un chitarrista, Aldo passa al basso e

decidemmo di restare in tre sulla scia di gruppi inglesi come Atomic Rooster e Nice, che in quel periodo erano caratterizzati dall’organo Hammond, il più riempitivo degli strumenti. Cominciammo a sviluppare il nostro stile e durante le prove, per capire meglio il ruolo di ciascuno, provavamo brani dei Nice come il Concerto Brandeburghese n. 3 di Bach e Karelia Suite di Sibelius. Se riuscivano a suonarli bene loro, ci dicevamo, perché non avremmo dovuto farcela anche noi?

Le Orme: Michi Dei Rossi, Tony Pagliuca, Aldo Tagliapietra

Rientrato Dei Rossi, Le Orme decidono di andare a vedere il festival all’isola di Wight. Tony, che già qualche mese prima era stato per conto suo a Londra, dove aveva incontrato alcuni celebri tastieristi locali, ricorda:

Lo scioglimento dei Beatles, maestri degli anni 60, aveva creato un vuoto e il segno che stava arrivando una nuova musica. Essere a Londra in quel periodo dava un bel carico di esperienza e a Wight il debutto di Emerson Lake & Palmer e l’ultimo vero concerto di Jimi Hendrix indicarono un sostanziale cambiamento di rotta.

un viaggio, quello verso l’isola di Wight, decisamente avventuroso.

Aldo: Ci andammo con il nostro furgoncino Fiat 238, carico di vettovaglie, incluse scorte di pasta e due pentole. Volevamo avere la conferma di essere sulla strada giusta, perché l’Italia non è un Paese di tradizione rock o blues, da noi i complessi venivano dal beat e molti stavano ancora proseguendo su quella strada. Così guardammo verso chi era più avanti di noi e a Wight ascoltammo Jethro Tull, ELP, i Doors con Jim Morrison, Jimi Hendrix e gli Who, che presentarono TOMMY quando era ormai l’alba. Tanto che ce li perdemmo in quanto, dopo ore di concerti (erano iniziati nel pomeriggio), stremato, dissi ai ragazzi che era ora di andare a dormire.

Rientrati in Italia, i tre si rimboccano le maniche.

Aldo: Programmammo un ritiro, come si usava in quegli anni, per scrivere in perfetta armonia e senza distrazioni, vicino al Passo San Boldo nelle Prealpi bellunesi.

Tony: Immagina tre ventenni con tanta voglia di cambiare il mondo che si ritrovarono da soli, lontani dallo stress della città, in una casa isolata di montagna a disposizione ma senza televisione, con gli strumenti sistemati a due passi dalla cucina dove l’amico e tecnico del suono Renzo Di Francesco ogni giorno inventava per noi cibi speciali della tradizione veneta. Ricordo i bei momenti di quella primavera, dopo pranzo davanti al sole con il caffè fumante e la grappa alla genziana mentre ascoltavamo la nuova musica di Yes, Nice e Jethro Tull.

Nel corso delle session, la sinergia tra i tre è potentissima, alternando in maniera esemplare melodia e improvvisazione.

Ancora Pagliuca: Provammo a cesellare la canzone classica italiana su misura per il nostro bisogno di esprimerci e di esplorare l’incognito spazio sonoro. A cominciare dal desiderio di suonare in libertà, di immergerci totalmente nell’esperienza dell’improvvisazione.

Jam comunque integrate da qualche idea preesistente.

Aldo: Fin dalla prima volta in cui ho preso in mano una chitarra, ho sempre scritto e preso appunti. Nel 1961 partecipai anche a un concorso per nuovi cantautori e vinsi, quindi ero abituato a scrivere canzoni e giri armonici e di certo portai delle idee. Non ricordo se fece lo stesso anche Tony, anche se lui è un istintivo e quindi molto del suo apporto credo sia nato lì per lì.

Pagliuca: Tutti portavamo qualcosa: una canzone completa, solo una strofa o un ritornello, o anche una breve frase strumentale. E se non c’era niente si improvvisava, si suonava per ore fino ad afferrare l’idea. Privilegiavamo la musica rispetto ai testi, il che era un modo di procedere faticoso, perché poi bisognava incasellare le parole per bene sulla melodia, senza modificare la metrica.

«Reverberi è stato decisivo per buona parte della nostra produzione discografica»

Aldo: Quando ci presentammo con un Lp di musica nuova, trovammo porte chiuse dappertutto. Ci dicevano: ragazzi, qui non siamo in Inghilterra, dobbiamo fare le cose all’italiana... Accorse innostro aiuto Gian Piero Reverberi; lui era amico di Roberto Galanti, che credo fosse il direttore del marketing, il quale riuscì a tirar fuori un po’ di soldi con cui andammo a registrare in uno studiolo per due settimane, missaggi compresi [l’album fu registrato dal 17 maggio al 3 giugno 1971 presso lo studio Sax Records di Milano, ndr].

La figura di Reverberi è fondamentale in questa fase. E non solo.

È stato decisivo per buona parte della nostra produzione discografica, in realtà, ammette Tony. Con lui abbiamo instaurato un rapporto solido basato sulla stima reciproca e sulla parità dei ruoli. Per me è stata anche una fortuna, perché da lui ho imparato moltissimo e avuto tantissimo: in ogni disco abbiamo felicemente realizzato dei preziosi ‘quattro mani’ senza nessuna punta di rivalità o antagonismo.

Tagliapietra: Noi avevano studi musicali alle spalle. Io nel ’63-64, al Conservatorio Pollini di Padova, avevo preso il diploma di teoria e solfeggio, e anche Tony seguiva la classica. Ma se volevamo applicare criteri di musica classica al rock chiedevamo a Reverberi: come si fa un canone? E lui ci spiegava un canone fatto col basso. Noi eravamo bramosi di conoscere, e lui fece anche un lavoro di sfoltimento. Mi ricordo infatti un disegnino che avevo fatto io, con Reverberi ritratto con barba, occhiali e un paio di forbicioni in mano... Con noi, ha avuto un po’ il ruolo di George Martin coi Beatles: era sempre con noi in sala (non nei concerti, perché lui era un produttore) ed era anche una persona positiva e piacevole, sempre pronto alla battuta. E pure quello era importante.

Le session di registrazione sono un po’ un salto nel buio, ma nel frattempo, come ricorda Aldo,

ci fu un ricambio generazionale e i ragazzi italiani cominciavano a cercare cose nuove. E quella musica era nell’aria, non l’abbiamo inventata noi e nemmeno gli inglesi, anche se indubbiamente è a loro che ci siamo ispirati. Così cominciammo a suonare nelle discoteche e ai concerti, dove avevamo un nostro pubblico.

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A quel punto, Tony e l’amico Renzo caricarono nel furgone il registratore Revox con la bobina di COLLAGE e la portarono a Roma alla redazione di Per voi giovani per farla ascoltare a Carlo Massarini, Paolo Giaccio e Mario Luzzatto Fegiz. Oggi le canzoni che mandano in onda i dj hanno tutte lo stesso sound, loro invece andavano in cerca di dischi più intellettuali, originali e difficili da trovare: con quella trasmissione, indirizzarono il gusto dei giovani.

Dopo il successo radiofonico, ricorda Tagliapietra, le cose cambiarono per noi e vendemmo moltissimo per quei tempi.

Dopo mezzo secolo, COLLAGE ha ritrovato nuova linfa con il recente successo della ristampa in vinile.

Aldo: Una soddisfazione inaspettata, perché le ristampe sono spesso roba di serie B. Ma la Universal, stavolta, ha fatto le cose per bene, a un livello molto professionale. Tra l’altro ho avuto modo di riascoltarlo, cosa che non faccio mai di solito, e devo dire che a 50 anni di distanza suona ancora come un disco pieno di positività.

Tony: Le canzoni hanno conservato il fascino di quegli anni irripetibili: si possono percepire chiaramente lo slancio e la veemenza che scatenarono quella grande energia giovanile che ancora oggi ci emoziona.

COLLAGE è stato da poco ripubblicato dalla Universal nell’ambito della nuova collana Prog Rock Italia. Per questa curatissima ristampa in vinile colorato, sono stati utilizzati i nastri analogici originali.

Questo articolo è tratto da Classic Rock n.102, disponibile in tutte le edicole e sul nostro store online.

Classic Rock 102 Sprea Editori
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