Tutta la storia di David Bowie attore

David Bowie L’uomo che cadde sulla Terra(1976)
“C’è vita su Marte!” Con la “famiglia aliena” de L’uomo che cadde sulla Terra(1976).

Figura gigantesca nella musica, Bowie ha lasciato un segno profondo anche nel cinema. Rivelandosi un eccellente attore.

Testo: Giandomenico Curi

La storia di Bowie attore comincia con L’uomo che cadde sulla terra (1976) di Nicolas Roeg. Tratto dal romanzo di Walter Tevis, è un film di fantascienza a rovescio, di un extraterrestre capitato sulla terra per sbaglio, o per necessità, e che ha dei problemi drammatici a ripartire. Si chiama Thomas J. Newton (Bowie) un mutante che fa fatica a camminare, a respirare, a mangiare. Ha moglie e figli, e un pianeta in via di estinzione da salvare. Ricorre allora all’intelligenza di una “teleteca” che gli manda tutte le immagini/informazioni di cui ha bisogno. Il problema è che Newton è “l’uomo che sapeva troppo” e sulla Terra non è gradito: fa paura e va eliminato.

Nella colonna sonora, musica di Bing Crosby, Roy Orbison, Artie Show, Louis Armstrong: brani che, parole di Roeg, sono “quasi sillabe di epoche diverse messe l’una accanto all’altra per formare una specie di alfabeto della vita”. Anche Bowie scrive dei brani per il film, ma soltanto dopo: prima viene l’attore. Così quelle canzoni finiranno su LOW: “Ho scelto il film di Roeg – ricorderà – perché qui non dovevo cantare, e non ero costretto a rassomigliare a David Bowie. Adesso sono convinto che sia Bowie a rassomigliare a Thomas J. Newton”. La sua immagine solitaria e desolata, la pelle bianca, gli occhi celesti, la suggestione della voce... È Bowie a tenere insieme il film, che diventa subito il suo film cult e definitivo.

David Bowie L’uomo che cadde sulla Terra(1976)
“C’è vita su Marte!” Con la “famiglia aliena” de L’uomo che cadde sulla Terra(1976).

Del 1978 va ricordato Gigolò, diretto da David Hemmings, se non altro perché, insieme a Christiane F., prepara il mito berlinese di Bowie, e poi per la magnificenza della produzione (tedesca) che schiera nomi del calibro di Kim Novak, Maria Schell, Curd Jürgens, Marlene Dietrich e altri ancora. Si tratta in realtà di una vicenda ambigua e squallida, un melodramma noioso, una storia alla Cabaret in una Berlino fredda, cinica e decadente, che vorrebbe essere anni 20 e insieme anni 70.

Con un Bowie nella parte di un ex soldato prussiano della grande guerra costretto, per vivere, a vendersi alle belle vedove che vogliono dimenticare. Un Bowie romantico e disperato, vagamente omosessuale, che tuttavia non rinuncia a fare la star (ma non canta). Nel 1981 esce Christiane F. Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, dove Bowie appare per il tempo della durata di una canzone, Heroes: quanto basta per diventare, agli occhi della giovanissima Christiane F., il suo eroe, la sua icona di riferimento, l’unico piccolo conforto alla sua vita distrutta dall’eroina.

Gigolò in caduta libera nel film berlinese di David Hemmings (1978).
Gigolò in caduta libera nel film berlinese di David Hemmings (1978).

Nel 1982 c’è l’esperimento televisivo (BBC) di Baal, opera forte e scandalosa di un giovanissimo Bertolt Brecht, messa in scena, in modo sperimentale e teatrale, dal regista Alan Clarke. E Bowie è il protagonista, l’interprete di questo personaggio selvaggio e mistico, sporco e puro, che lo ha conquistato alla prima lettura e che non dimenticherà facilmente.

L’anno dopo gira Furyo, diretto dal grande Nagisa Oshima (nel cast anche Tom Conti, un sorprendente Takeshi Kitano e Ryuichi Sakamoto). Un film ambientato nel Giappone del 1942, all’interno di un campo di prigionia, per mettere in scena i difficili rapporti tra inglesi/vinti e giapponesi/vincitori. Fino a che un giorno arriva il maggiore Jack Celliers (Bowie), e grazie al suo fascino le cose cominciano a cambiare.

Al centro del film, i quattro attori protagonisti e la contrapposizione di due culture, due mentalità, due classi sociali. Dei quattro due sono rockstar, Bowie e Sakamoto. Il primo scelto da Oshima per la sua “bellezza, spiritualità, nobiltà, carisma indistruttibile”; il secondo è anche l’autore delle musiche del film, bellissime e ieratiche. Storie diverse ma con la stessa passione creativa vicina alla scena pop, la stessa voglia di sperimentare tra musica e arti visive. I faccia a faccia tra i due sono tra i momenti più alti girati da Oshima, così come quelle che mettono in evidenza la tentazione omosessuale e il desiderio represso che aleggia nel campo.

Miriam si sveglia a mezzanotte (1983) è invece un film di Tony Scott con Catherine Deneuve e Bowie nei panni di una coppia di vampiri bisessuali. Delirante, dark e chic, è già tutto nell’apertura gotica in cui i Bauhaus cantano Bela Lugosi’s Dead, mentre Bowie e la Deneuve dissanguano giovani prede a colpi di croci egiziane. Polaroid anni 80, dove si parla con disinvoltura di eterna giovinezza e d’invecchiamento inesorabile, e dove, come impone l’estetica videoclip di MTV, tutto è superficie, plastica, pubblicità e narcisismo. E in tutto questo, il Duca si trova a meraviglia.

Dopo il cameo sfizioso per John Landis di Tutto in una notte (un killer psicopatico untuoso, sosia di David Bowie naturalmente), arriva Labyrinth – Dove tutto è possibile, diretto nel 1986 da Jim Henson: Bowie è Jareth, il re dei folletti, fascinoso, sexy, seducente quanto crudele. Ed è contro di lui che la protagonista Sarah deve lottare per liberare il fratellino dal terribile labirinto in cui è tenuto prigioniero. Un film kitsch, ingiustamente maltrattato, che ha spaventato tutti i bambini degli anni 80, e un Bowie che fa la sua parte, viaggiando tra il bizzarro e il sublime spesso circondato da personaggi/pupazzi stile Muppet Show.

David Bowie nel ruolo del perfido Re dei Goblin Jareth, con la co-protagonista di Labyrinth Jennifer Connelly (1986).
David Bowie nel ruolo del perfido Re dei Goblin Jareth, con la co-protagonista di Labyrinth Jennifer Connelly (1986).

Subito dopo un’altra pellicola importante, Principianti assoluti (Absolute Beginners), diretta da Julien Temple. Una storia tratta dal bel romanzo anni 50 di Colin McInnes, poi recuperato e amato dai punk anni 70. Nelle mani di Temple diventa un musical su Londra, la città di tutti i sogni (di Temple e di Bowie), ma anche sulla fine del sogno, il sogno dei teenager sconfitto e svenduto. Racconta la saga dei “principianti assoluti” (come il pezzo dei Jam), dei primi ragazzi ricchi figli del miracolo economico e inventori di quello che diventerà il mito di una nuova generazione ribelle.

E poi c’è la musica, che è invece quella dei video musicali che Temple conosce bene, quella che spinge avanti il film, che fa avanzare lo sguardo attraverso le inquadrature. E in colonna sonora c’è anche Bowie, che, dice ancora il regista, “fa una musica che è anche il suo personaggio, tra la favola e l’illusione”. E possiamo persino vederlo nel piccolo ruolo di Vendice Partners, rapace funzionario di un’agenzia di pubblicità, che cerca di venderti qualsiasi tipo di sogno fasullo. Lo vediamo ballare su una gigantesca macchina da scrivere mentre esegue una sua canzoncina contro i cliché commerciali della pubblicità. Si chiama That’s Motivation, un brano talmente inerte da rendere penosa l’intera sequenza del film. Funziona, invece, e tanto, il pezzo d’apertura che ha lo stesso titolo del film, Absolute Beginners, scritto sempre da Bowie: una grande ballata piena di fascino e di energia.

Anche nel film di Scorsese, L’ultima tentazione di Cristo (1988), Bowie è in scena solo pochi minuti, ma quella scena si porta dietro il film. “A posteriori – scrive la rivista francese «Première» – affidare il ruolo di Pilato a Bowie era quasi ovvio... Bowie, che viveva solo di sangue, sesso e provocazione, era destinato a mandare il Figlio di Dio sulla croce. Incarna Ponzio Pilato con un senso di umanità e ambiguità che caratterizza l’intero film di Scorsese. E riesce a dare uno spessore umano, vissuto, a questo personaggio simbolico e astratto...”.

Tralasciando le insignificanti apparizioni in The Linguini Incident (1991) e Fuoco cammina con me (1992), merita attenzione Basquiat, girato nel 1996 da Julian Schnabel: è la storia di Jean-Michel Basquiat (l’attore Jeffrey Wright), il primo artista nero ad avere successo nell’underground americano fine anni 70. Di origine haitiana, ha cominciato dormendo per strada e lasciando i suoi segni veloci sui muri di Manhattan. Diventerà il pittore più amato dalle gallerie di New York, grande amico di Warhol e stella filante per tutti gli anni 80, fino alla morte avvenuta per overdose nell’88, subito dopo quella del suo maestro.

Un film ambizioso, che lavora sui tre livelli della messa in scena: cinematografica, pittorica e musicale. Non tutto però funziona. Rimangono alcuni momenti visionari, come quella quasi all’inizio, con il mare e il surf sopra i palazzi, un’ossessione tutta cinematografica che ritorna, segnata dal tempo e dalle parole “allarmate” di Johnny Rotten che urla Public Image.

Di certo rimane la colonna sonora, strepitosa. E rimane Andy Warhol interpretato da un Bowie che entra nei panni del suo maestro di una volta con grande naturalezza. Soprattutto nella parte finale del film, dove Bowie sembra ritrovarsi, con ironia e dolcezza, nei panni di un Warhol ormai vecchio pazzo esilarante e abbandonato: “Mi hanno dato gli abiti che erano stati di Andy e una parrucca”, ricorda Bowie. “Conservavano ancora il suo odore. C’era anche una borsetta, molto triste, con dentro gli aggeggi per migliorare la propria immagine”. Insomma un’altra grande prova da attore.

Bowie interpreta uno stralunato ma convincente Andy Warhol in Basquiatdi Julian Schnabel (1996)
Bowie interpreta uno stralunato ma convincente Andy Warhol in Basquiatdi Julian Schnabel (1996)

Da citare a questo punto, per amor di patria, Il mio West girato da Giovanni Veronesi nel 1998 in varie location della Garfagnana. Un filmettino western “alla toscana”, senza capo né coda e un cast che più sprecato non si può. Già perché, tra gli altri, c’è anche Bowie nella parte di un pistolero psicopatico, tal Jack Sicora (cappellaccio da cowboy e occhiali da sole), da tempo sulle tracce del suo nemico Johnny (Harvey Keitel). La sua entrata in scena è uno dei momenti più teatrali e movimentati del film, così come la sua minacciosa serenata notturna sulle note di Glory Glory Hallelujah. Difficile capire il senso di questa operazione cinematografica costata quindici miliardi di lire.

Dopo di che, si torna ai soliti camei, cioè a una serie di partecipazioni brevi con risultati più o meno importanti e prestigiosi: dalla serie televisiva The Hunger (1999-2000) a Zoolander (2001), da The Prestige (2006) a August (2008). L’ultima apparizione del nostro al cinema è il cameo per Bandslam, film della serie “college rock contest”, dove una band di sfigati arriva a piazzarsi al primo posto grazie a un giovanissimo producer imbranato quanto geniale (e naturalmente fan di Bowie). Lo salvano (il film) la sua aria da indie, la grazia sensuale delle studentesse e un’ottima colonna sonora. Bowie, nella parte di se stesso, arriva alla fine a cantare Rebel Rebel. Poi più niente, quando comincia a rendersi conto che la fine del viaggio è vicina, e che deve prepararsi alla messa in scena del vero film definitivo.

Questo articolo è tratto da «Classic Rock Monografie n.8», dedicato a David Bowie. Il numero è disponibile sul nostro store online.

Classic rock monografie n.8 speciale David Bowie
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