Per i pochi che non conoscono Duff, consigliamo la visione di It’s So Easy and Other Lies, rockumentario tratto dall’omonima autobiografia del musicista diventato famoso come bassista dei Guns N’Roses ma attivissimo in una decina di altri progetti. LIGHTHOUSE è un disco molto intimo, nato durante il Covid e dedicato alla moglie Susan.
LIGHTHOUSE è un concept album?
Possiamo definirlo così, nel senso che è nato attorno ai testi che ho scritto. Alcuni brani risalgono alle lavorazioni di TENDERNESS; credo che Fallen sia stata registrata nel mio nuovissimo studio a Seattle nel dicembre 2019, poi ho continuato a scrivere per tutto il tour del 2020. Durante il lockdown ho lavorato molto con Martin Feveyear, mio produttore e collaboratore da una vita. Adoro quel suo modo di trovare le cose più strane. Quando mi dice: “Ho un’idea”, so che devo prendere appunti. Ne sforna di continuo, sa sempre che microfoni usare, come settare le mie batterie, come farle sentire al meglio... la batteria che ho usato per il disco è la stessa che vedi nelle foto di I BELIEVE IN ME del 1993. Negli ultimi quattro anni, Martin mi ha vietato di cambiare le corde del mio basso, che ora ha un suono veramente cattivo! Non lo avevo mai fatto prima.
Parlami del tuo nuovo studio. Ha un nome?
Non ancora. Pensa che è nato quasi per caso. Stavo girando per Seattle alla ricerca di un magazzino dove poter mettere tutta la mia roba: moto, strumentazione... Abbiamo scoperto un edificio nel quale c’era uno studio di registrazione di cui nessuno ricordava l’esistenza. Si trovava a quattro minuti da casa mia e aveva anche un prezzo accettabile! Ha un sound pazzesco, è ottimo per registrare le voci. È uno spazio molto creativo.
Perché hai scelto il ‘faro’?
È una struttura che mi ha sempre affascinato. Pensa a quello di Alessandria d’Egitto, alle costruzioni costiere medievali... Anche la Statua della Libertà è nata come faro! Mi piace quello che rappresenta, il frangersi delle onde ricorda le difficoltà della vita che ci sbatte di qua e di là: abbiamo bisogno di trovare il porto dove riparare i danni e per arrivarci serve un faro. Il mio faro è mia moglie Susan, che con il suo amore, il suo calore e la sua solidità mi ha permesso di ritrovare la strada. Per la copertina, ho chiesto a Kuci, il fidanzato di mia figlia minore Mae Marie: è un giovane artista che mi ha colpito col suo lavoro, così gli ho chiesto di realizzare la sua versione di un faro. Fa parte di un trittico a olio che vedrete, prima o poi…