FAUST’O – Intervista patologica | Vinile

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Faust’o in casa, luogo d’elezione. The Sound Of My Walls. © Mara Gnecchi
Sono passati 45 anni dall’esordio di FAUST’O, artista inclassificabile nella nostra storia musicale che raramente si concede a chiacchierate. Direttamente dall’ultimo numero di VINILE…

Parliamo di universo, di infinito, di Bohm e dell’Olomovimento, del tempo che secondo lui è uno splash, tutto in un attimo. Mi spiega perché il sapore dell’acqua di Milano è diventato così cattivo raccontandomi nei dettagli e con sbalorditiva competenza cosa è successo al sistema idrico a causa dei lavori per la metropolitana (“Hanno cominciato trent’anni fa a far casino pretendendo di costruire a Milano, e non parlo solo della metropolitana, quello che a Londra e a Parigi è stato fatto in centinaia d’anni: non si può continuare così, devono stare fermi, fermi!”).

Si rivela appassionato di cultura giapponese, dell’Iliade e dell’Odissea, della pittura del Rinascimento. Confessa una nostalgia infinita per la casa di famiglia dove si riunivano tutti, per i cugini, gli zii e le loro vicende romanzesche, per i suoi libri che stanno nel solaio da un anno e mezzo e dei quali sente la mancanza. Mi domanda se non ho notato certi piccoli segnali che dovrebbero mettere in allarme ben più dei dati Istat sulla povertà che dilaga (“Una volta trovavo ogni tanto monetine, dieci lire, cento lire, e con dieci lire ti prendevi quelle palline di chewing gum colorate senza carta; ora per la strada non si trova più nemmeno un centesimo”)…

…Finalmente uscirà un tuo nuovo lavoro. I fan lo aspettano da tanto. Vuoi anticiparne qualcosa?

Sto lavorando a un album dove è prevalente la parte musicale rispetto alla forma canzone, e ho la consapevolezza che venderei di più persino con un album di musica elettronica, che comunque è un genere che ha un suo pubblico. Per quello che sto facendo credo non esista pubblico.

Quando esce?

Spero per fine anno. Voglio fare anche un’altra cosa. Mettere un pezzo mio non so dove, Soundcloud o Spotify o Band Camp, ma senza fargli minimamente pubblicità. Sono curioso di chi lo scoprirà, e delle reazioni.

Esordisci nel 1978 con l’album SUICIDIO e il nome Faust’O. Da quel momento e fino al 2012, quando esci con BLANK TIMES, lunghe pause
e anche il ritorno al nome che hai all’anagrafe, Fausto Rossi. Nel 2014,
il singolo Dogma con Flavio Giurato, poi di nuovo silenzio. Chi ti ama dice che hai obbedito non al marketing ma, con coerenza, ai capricci della tua creatività, però c’è anche chi parla di periodi psicologicamente bui, di depressione...

Non sono mai stato depresso. Se sono in compagnia trovo sempre da ridere, se sono solo sto bene perché sono un solitario. Ho vissuto per anni sulle colline a Montevecchia, e lì, a volte, guardavo fuori dalla finestra, mi veniva da piangere non per tristezza, ma perché non c’era nessuno a condividere con me la bellezza che vedevo. Avrei potuto chiamare cento ragazze, non mi andava. A Capodanno del 2000 avevo invitato una ragazza ma poco prima di mezzanotte le ho detto scusami, vorrei tanto restare solo, e da solo ho visto un sole dell’alba che non avevo mai visto, come una palla di fuoco salita velocemente dalla montagna. Sono stato male verso i diciotto anni, sì. Ma per le droghe, quindi per un motivo, e ci sono state anche delle ripercussioni in famiglia.

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Come è nato il nome Faust’O?

Da poco ero con la CGD e Caterina Caselli (che non era CGD) mi ha detto che Fausto Rossi era un po’ generico, poco incisivo, quindi di trovarmi uno pseudonimo. Già loro parlavano di radio, tv, cose così, e io non ne volevo sapere, quindi mi è sembrato che dire un ennesimo No fosse troppo... ineducato e da bastian contrario. È stato il mio produttore Oscar Avogadro a pensare a Faust’O. Ho avuto subito crampi allo stomaco ma ormai mi ero imposto di non rompere le scatole. Ho pensato ok, un paio d’anni e mi riprendo il mio nome. Non è andata così…

 

…Tratto dall’ultimo numero di Vinile, disponibile in edicola e online!

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