Quel giorno in cui il fratellastro di David Bowie si suicidò

Gli anni Ottanta coronano il successo del Duca Bianco, illustre alfiere dell'estetica glam e proiettato verso continui e incendiari progetti artistici. Ma è proprio sul più bello che una parte fondativa della sua infanzia scompare, e cala il sipario sulla sua psiche. 

Mio fratello Terry ha avuto una  grandissima influenza sulla mia vita. Mi ha fatto conoscere autori che certo non consigliavano a scuola, come J. Kerouac, A. Ginsberg, E.E. Cummings,… e mi ha fatto avvicinare al jazz e al rock’n’roll americani.

Si chiamava Terry Burns e non era solo il fratellone acquisito di David Bowie, ma anche suo mentore e amico. I due erano separati da dieci anni di differenza, lungo due epoche così vicine, ma frammentariamente lontane di metà Novecento. Così Terry era nato nel 1937, dall'unione della madre del Duca, Mary Burns e del figlio di un pellicciaio francese che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, era sparito nel nulla. Ma David la guerra non la vide e nacque nel quartiere londinese di Brixton nel 1947, trovandosi come complice quel fratello un po' particolare, che tuttavia gli fece apprezzare l'arte e la letteratura come nessun altro. 

Perché Terry era affetto da schizofrenia, braccato in quella gabbia mentale di derivazione materna. Così Bowie raccontò, ironicamente, come la sua famiglia fosse veramente pazza, oltre l'immaginario sfarzoso della sua estetica, in una dimensione più profonda e drammatica. Mary infatti era la più grande di sei sorelle, di cui tre ricoverate in cliniche psichiatrice per malattie mentali. Tra queste, una veniva tragicamente sottoposta a elettroshock, mentre l'altra subì la lobotomia. Un immaginario orrorifico che non poteva che spaventare il giovane Bowie, frequente visitatore del fratello durante la degenza in clinica. 

Si dice che Terry fosse un vero e proprio personaggio nel manicomio vittoriano di Cale Hill, a sud di Londra. Soprattutto all'inizio degli anni Ottanta, quando si muoveva frenetico tra i corridoi, rubando sigarette e annunciando a tutti i pazienti come il fratello David fosse una star del rock. E Bowie gli stette particolarmente vicino durante gli anni '70, impreziosendo le sue giornate con pic-nic all'aperto fuori dalla clinica, in compagnia della moglie di allora, Angie. Tuttavia nel Duca aleggiava sempre un sentimento contrastante, avvincente e repellente al tempo stesso. Bowie infatti aveva paura di poter anche lui, per derivazione ereditaria, arrivare alla pazzia. 

Alcuni ritengono che tale pensiero deformante lo abbia portato a creare Ziggy Stardust. Un alieno, un alter ego, una creatura fantascientifica, plasmata come maschera sul volto dell'artista. Perché solo dietro un altro volto si può essere veramente sinceri, screziando l'ipocrisia quotidiana. E David ha sempre fatto delle sue emozioni il cardine della poesia narrativa, tanto da rimanere profondamente turbato quel fatale giorno del 1985. Accadde infatti che Terry, dopo aver già tentato un suicidio all'inizio degli anni Ottanta, si stese sulle rotaie della stazione di Coulsdon South, non lontano da Cane Hill. Il brutto tempo e le problematiche tecniche legate alla neve gli avevano facilitato l'evasione dalla clinica indisturbato. 

Tuttavia in quell'anno, Bowie, sul palco del celebre Live Aid, organizzato da Bob Geldof per la fame nel mondo, non vedeva Terry da diverso tempo. Sua zia Pat, in maniera denigratoria, aveva rilasciato un'intervista in cui criticava come gli ingenti guadagni di David non gli lasciassero neanche qualche spicciolo per mantenere suo fratello. Un brutto colpo per David, che aveva sempre tenuto profondamente al fratello e fatto il meglio per permettergli una vita dignitosa nonostante il suo disagio.

Al funerale, però, il Duca non partecipò, non volendo invadere con i funambolismi circensi dei media quel giorno sacro. Si limitò a inviare un mazzo di fiori e a dedicare a Terry un'indelebile canzone: Jump, They Say (1993)emozionalmente chiara sin dal titolo nell'evocare quelle temibili e misteriose voci nella testa di cui Bowie aveva così paura. 

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