Con il nastro rosa: Geoff Westley racconta i suoi anni con Lucio Battisti

foto di Westley di Danilo D’Auria

Oxfordshire. Interno notte. Dopo cena, i musicisti sono riuniti in un grande salone dello studio Manor con un bel camino acceso. Tra i musicisti c’è anche Lucio Battisti.

Oxfordshire. Interno notte. Dopo cena, i musicisti sono riuniti in un grande salone dello studio Manor con un bel camino acceso. Fuori piove a dirotto, tuoni e fulmini, e questo aumenta il piacere di stare lì, al caldo, con un bicchiere di cognac in mano. Tra i musicisti c’è anche Lucio Battisti. Qualcuno gli chiede notizie delle sue vecchie canzoni, sono incuriositi di sapere cosa c’è stato prima di “Una donna per amico”. E allora Battisti, quasi per magia, prende la chitarra e comincia a suonare e a raccontare le sue canzoni, mentre la pioggia bagna la campagna inglese.

Come avvenne il contatto con Battisti e dove v’incontraste per la prima volta?

Geoff Westley: Questa è una bella storia. Io all’epoca facevo il turnista, tastierista e arrangiatore, e lavoravo spesso per i produttori o comunque per i direttori artistici di un progetto discografico, che spesso erano anche arrangiatori ma non sempre. Ce n’erano alcuni bravissimi, con i quali ero anche amico, ma c’erano anche quelli meno bravi, e io pensavo che avrei potuto fare meglio di loro, se ci avessi provato. Così feci sapere a un mio amico, che in quel periodo era il direttore artistico della RCA inglese, Alan Sizer, che anche a me interessava produrre dischi e che se aveva qualche opportunità io ero pronto a farlo. Dopo un po’ di tempo, lui mi chiamò e mi disse: “Ti andrebbe di produrre un artista italiano?”. E io risposi: “Mah, sì, non mi importa se è italiano o di un altro Paese, mi interessa cominciare a fare questo lavoro”. Allora Alan mi disse che avrebbe organizzato un incontro per farmi conoscere questo artista. E infatti, poco tempo dopo fui invitato a una cena, dove oltre ad Alan e me, c’erano anche Lucio Battisti e Susan Duncan-Smith, che allora lavorava credo ancora per la RCA Italiana, ed erano venuti apposta dall’Italia per incontrarmi. Facemmo un po’ di conversazione e alla fine della cena Lucio mi fece due domande: quando volevo iniziare e dove volevo registrare. Per lo studio, dissi che avrei voluto registrare al Manor, che di sicuro era il miglior studio in quel momento in Inghilterra, uno studio residenziale poco fuori Oxford, in una situazione bellissima; e poco dopo abbiamo cominciato a lavorare. Nessuno mi ha chiesto un preventivo, un’idea dei costi, mi dissero di cominciare a lavorare e che poi ogni tanto la RCA avrebbe pagato le spese. E così cominciammo.

(L’intervista di Luciano Ceri è sul numero 15 di “Vinile”, in edicola)

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