Dopo aver ucciso Ziggy e aver sciolto gli Spiders from Mars, David Bowie si rintanò in un castello francese per registrare un disco di cover anni 60 amato dai fan quanto odiato dalla critica. Ecco la vera storia della creazione di PIN UPS.
Nel luglio 1973, una settimana dopo aver annunciato il ritiro dalle scene di Ziggy Stardust, David Bowie volò in Francia, per registrare un disco di cover di brani anni 60. Anche se PIN UPS rimane la pecora nera del suo catalogo anni 70, coglie Bowie nel momento di massimo relax e il suo braccio destro Mick Ronson all’apice delle sue capacità. Perfino gli Uomini delle Stelle ogni tanto hanno bisogno di tornare con i piedi per terra.
Consideriamo per un attimo il susseguirsi di momenti epocali di David Bowie nei primi anni 70: HUNKY DORY dicembre 1971, ZIGGY STARDUST giugno 1972, ALADDIN SANE aprile 1973. Perfino per gli standard dell’epoca, è una produzione strabordante. E poi, stiamo parlando di tre classici, dei quali due regolarmente presenti nella lista dei dischi migliori mai realizzati. Aggiungete il fatto di essere costantemente in tour, la stampa e la fatica quotidiana di essere perennemente all’altezza delle aspettative di chi vedeva in lui un “Autore Geniale”, o “il Profeta dell’Oscurità”, se non addirittura “il TS Eliot beat”. Magari, Bowie non era stato pronto a “kick it in the head when he was twenty-five” (aveva già 26 anni), ma sicuramente aveva bisogno di tirare il fiato e ricaricare le batterie creative. La sua idea di break fu una passeggiata a ritroso lungo il Viale dei Ricordi – nel suo caso Wardour Street, nel quartiere Soho di Londra – fino all’epoca in cui era un giovane mod che andava al Marquee, abbeverandosi al sound dei suoi gruppi preferiti – i Pretty Things, i Pink Floyd, i Them, gli Yardbirds e gli Who.
In pratica, Bowie pianificò di ripagare il debito della sua ispirazione con un disco di cover. Anche se in effetti aveva già ceduto alla sua tendenza fanboy, componendo brani che omaggiavano gente come Warhol, Dylan e i Velvet Underground. E su ALADDIN SANE c’era stata Let’s Spend The Night Together. Perfino il personaggio di Ziggy Stardust, a ben vedere, era una sorta di tributo mash-up a Iggy Pop e Vince Taylor. La vacanza iniziò con una nota drammatica: il 3 luglio 1973, Bowie concluse all’Hammersmith Odeon il suo tour mondiale di 18 mesi. Lungo il percorso c’erano stati trionfi (due sold out al Santa Monica Civic Auditorium, successivamente divenute un disco live) e delusioni (più di un locale nel cuore pulsante degli USA era risultato semivuoto, con il pubblico molto tiepido verso quell’alieno androgino e dai capelli fiammanti). Se il brano finale all’Hammersmith Odeon Rock ’n’ Roll Suicide non l’aveva reso abbastanza chiaro, l’annuncio di Bowie rimasto nella storia lo esplicitò senza ombra di dubbio: “Questo non è solo l’ultimo concerto del tour. È l’ultimo concerto che faremo”.
Spiegandosi al «NME», quell’estate Bowie disse a proposito di Ziggy: “La star era stata creata. Aveva funzionato e fatto tutto quello che volevo facesse. Qualsiasi cosa realizzasse da adesso in poi, sarebbe una mera ripetizione, trascinandosi stancamente verso la morte. Ora che è all’apice, avrebbe poco senso fare altro con lui”. Se i fan rimasero di sasso, immaginate come poterono sentirsi gli Spiders from Mars. Tony Defris, manager di Bowie, informò il chitarrista Mick Ronson e il pianista Mike Garson che la settimana seguente si sarebbero riuniti con Bowie e il produttore Ken Scott per delle sessioni di registrazione in Francia.
Il batterista Woody Woodmansey fu licenziato – nel giorno del suo matrimonio – e sostituito con Aynsey Dunbar. “Ero al matrimonio di Woody, e dovetti dirgli che era stato fatto fuori”, confessa a «Classic Rock» Mike Garson, a lungo pianista di Bowie. “Mi sentii di merda. Era mio amico. Erano tutti miei amici. Ma per David non c’era nulla di personale – era la sua inquietudine musicale. Doveva allargare i suoi orizzonti, proprio come quando Diana Ross mollò le Supremes. Sono quel tipo di persone che a un certo punto devono andarsene e tentare strade nuove. Ovviamente, noi la prendemmo sul personale. Ogni disco di David nel quale non suonai, avrei voluto esserci. Quindi, la presi molto sul personale. Ma per lui era solo un modo di dire: ‘Questa è la direzione verso cui vado ora. Questo è ciò che voglio ascoltare d’ora in poi’”. “Fu un modo molto stronzo di sciogliere il gruppo”, confida Suzie Ronson a «Classic Rock». “David fu glaciale. Ci volle un sacco di tempo perché Woody superasse la cosa, e io lo capisco benissimo. Gli Spiders erano un gruppo fantastico. Non meritavano un trattamento simile”.
Si sa anche che Jack Bruce, l’ex Cream, fu invitato a sostituire Trevor Bolder, ma Bruce rifiutò e così Bolder rimase. Ma sarebbe stato l’ultimo disco, sia per lui che per Mick Ronson. Il 9 luglio Bowie si spostò, prima via nave e poi con l’aereo, da Londra a Parigi, e con una limousine raggiunse il Château d’Hérouville, un castello del XVIII secolo poco fuori Parigi che era stato convertito in uno studio di registrazione a 16 piste.
“Uno studio di registrazione dove potevi dormire, mangiare, registrare secondo i tuoi orari e non lasciare mai il posto?”, dice Garson. “All’epoca, era una cosa mai vista prima, un cosa stupefacente. Me ne innamorai. Era un luogo magico”.