Era difficile farsi spazio sulla scena musicale di quel periodo. Born In The U.S.A. di Bruce Spingsteen era l’album più venduto, Mtv era nata appena da quattro anni e i gruppi rock più in voga erano i Judas Priest, i Deff Leppard, Ozzy Osburne, mentre i Motley Crue troneggiavano a Los Angeles a capo di un movimento neo-glam che avrebbe ben presto portato altri artisti a riempirsi di matita per gli occhi e lacca per capelli. Qualcosa però si stava muovendo, sotto ai piani alti, il thrash metal, discendenza blasfema dell’heavy metal e del punk rock si stava raggrumando intorno alla zona di San Francisco con i Metallica, gli Slayer e i Megadeth.
Hanno aspettato per tre anni più o meno in silenzio, ma nell’85 ormai i Metallica, campioni indiscussi, avevano firmato con l’Elektra, e gli altri produttori discografici tenevano d’occhio i loro progressi con ammirazione.
Il 27 dicembre del 1985, in una Copenaghen imbiancata dalla neve, i Metallica davano gli ultimi ritocchi al loro terzo disco, Master Of Puppets. Sarebbero poi stati spediti a Los Angeles per essere missati da Michael Wagener, che aveva già lavorato anche con i Motley Crue. Non lo sapevano, ma i dodici mesi successivi avrebbero cambiato ogni cosa, per loro e per il movimento di cui si erano ritrovati alla guida.
James Hetfield: “Quelle canzoni mi ricordano un periodo più innocente. Non stupido, ma ancora non rovinato dalla fama e dal successo. L’onestà e l’innocenza del vivere nello studio di registrazione, avendo dentro ancora il sacro fuoco, con solo i Metallica in mente. Credo che Master Of Puppets fosse tutto quello a cui pensavamo”. E continua: “C’era innocenza e al tempo stesso un atteggiamento alla ‘fottetevi tutti’.” I pezzi diventavano sempre più grandiosi e potenti, e le canzoni piene di energia."
Lars Ulrich: “Ci preparammo alle urla e alle lamentele della comunità trash per le chitarre acustiche e per esserci ‘venduti’. Ma dovevamo farlo così, perché era la nostra cosa giusta”.
Tratto dal numero #48 di Classic Rock.
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