David Bowie fu accusato di essere filonazista. Cosa c’è di vero?

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Il 1976 fu un anno turbolento per David Bowie, avvolto dalla dipendenza da cocaina, immedesimato nell'anima artistica di Thin White Duke e ingabbiato in una rete di affermazioni controverse e chiaroscurali. Perché la complessa personalità di Bowie coinvolse anche accuse a sfondo nazista?

Il 3 luglio 2020, Simöne Gall ha pubblicato un saggio intitolato The Thin White Duke - David Bowie e l'era Station To StationE sin dal titolo affiorano due precisi indicatori di quello che Bowie definì come il periodo più cupo della sua carriera. Si tratta dell'epoca transitoria tra l'evocazione della black music di YOUNG AMERICANS (1975) e la liturgia brillante della Trilogia di Berlino. Uno squarcio di vita adombrato dal nebulosa macchia della dipendenza, dal travaglio di un'esistenza affascinata dall'esoterismo e dalla firma di un album che venne ricordato di meno degli altri: STATION TO STATION (1976). Con lui Bowie abbandonò l'alter ego che lo aveva contraddistinto in quel periodo e che consoliderà la sua immagine in un lascito ereditario iconico: The Thin White Duke. 

Da lì affiora il celebre soprannome di Duca Bianco con cui si ricorda sempre l'artista camaleontico. Questo era emerso nel periodo immediatamente successivo al film fantascientifico L'uomo che cadde sulla Terra (The Man Who Fell To Earth) dall'omonimo romanzo sci-fi di Walter Travis. Qui Bowie, nel ruolo di protagonista, interpretava Thomas Jerome Newton, l'alieno dalle fattezze umane che forgiò il suo iconico alter ego romantico. E tale immagine rivestiva alla perfezione la sua identità ambigua, frammentata in tasselli policromatici di una personalità artistica mai inquadrata in uno schema predefinito. Tuttavia il Duca Bianco generò le prime controversie quando Bowie lo definì "un tipo ariano" per la sua fisionomia algida e snella. Si costruisce così la cornice di un anno diversamente controverso.

Pochi mesi dopo l'uscita di STATION TO STATION,  Bowie venne fermato sul confine tra Russia e Polonia. Era il 27 aprile 1976. Una meticolosa perquisizione del suo bagaglio aveva infatti rilevato diversi libri nazisti, scritti da Joseph Paul Goebbles e Albert Speer, l'architetto personale di Hitler. Così seguì l'arresto e la confisca degli oggetti incriminati, mentre Bowie invocava l'ambasciata britannica, sottolineando l'ingiustizia della privazione. Sembra che proprio in quell'occasione abbia detto la frase "La Gran Bretagna trarrebbe beneficio dall'avvento di un leader fascista". Un'affermazione di getto, rabbiosa, dettata probabilmente dalla volontà di creare un contraltare a coloro che prima aveva chiamato comunisti. Ma un'invocazione forte, che mobilitò i giornali il giorno seguente, con la definizione di un'ossessione di Bowie per il nazismo

E quando il cantautore tornò in Inghilterra, il suo ingresso a Victoria Station del 2 maggio fu infiocchettato da un gesto destabilizzante, un incidente o forse una provocazione in seguito alle accuse rivoltogli. Divenne quindi emblematica la fotografia di Bowie intento a fare il saluto nazista, accompagnato dall'espressione "Heil, Hitler!". Si infittisce così l'aura di polemiche, che Bowie cercò di assopire dicendo che l'istantaea colta era in realtà parte di un gesto più complesso. E l'arresto in Russia che invocò un effetto domino di supposizioni affianca Bowie a una serie di musicisti accusati di filonazionismo per collezionismo di memorabilia bellici, tra cui alcuni provenienti dal Reich. Tra questi Lemmy Kilmister e Johnny Ramone, su cui hanno disseminato diverse dicerie.

Tuttavia l'interesse culturale non implica necessariamente un'affiliazione politica, anche se una successiva dichiarazione di Bowie a «Playboy» ha inondato il terreno mediatico di una scossa tellurica. Hitler è stato la prima grande rockstar e il nazionalsocialismo una splendida iniezione di morale”. Così ha detto il patinato cantautore, scatenando gli animi e ridefinendo poi meglio la sua affermazione. Secondo le sue parole l'intento era quello di tratteggiare il nazismo come fatto teatrale, non politico, rivolto allo "stato di apatia culturale in cui versa l'Inghilterra". Ed è proprio il termine teatrale a scrivere l'intera liturgia professionale di Bowie, incentrata sulla catalizzazione scenografica e performativa. 

david bowie

Non c'è quindi modo di sondare a pieno l'anima labirintica di un artista che non ha mai voluto che si perforasse la sua essenza. La sua arte si costruisce dietro una maschera, o meglio, una collezione di maschere fluide e in continua trasformazione. Per questo il Duca Bianco non può essere catalogato in un binomio cromatico. Tra il bianco e il nero riposa una zona espressiva che convoglia tutti i colori. Così il musicista ha affermato di non ricordare quasi nulla di quel 1976 così controverso. Ma non serve una spiegazione che definisca su una linea retta il suo libero pensiero. Una cosa è certa, David Bowie ha donato tutta la sua vita all'arte e su questa ha forgiato la sua libertà espressiva, l'unica che può definire in eterno la sua brillante estetica. 

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