Gli Uriah Heep e 14 album anni 70/80 (parte I)

Demons and wizard gatefold japan

In Italia gli Uriah Heep hanno sempre avuto notevoli consensi, sin dal primo tour di giugno 1971 quando tennero sei concerti in nove giorni, tornando ad agosto e a dicembre/gennaio 1972. Ripercorriamo parte della loro lunga storia attraverso 14 album (13 in studio e uno live), dal 1970 al 1980.

Testo: Giovanni Loria

...VERY ’EAVY...VERY ’UMBLE

(Vertigo, 1970)

Avevamo già registrato una buona metà dell’album – rammenta Mick Box – quando ci rendemmo conto che avremmo potuto ampliare il nostro sound con l’innesto di un tastierista. Amavo i Vanilla Fudge e desideravo avvicinarmi a quel tipo di sonorità; provammo con Colin Wood, ma le cose non andarono molto bene.

È Newton a ricordarsi di Ken Hensley, che aveva suonato nei Gods insieme a lui, e la scelta si rivela perfetta. Gerry Bron: "Ken non si limitò ad ampliare lo spettro sonoro della band... lui la plasmò letteralmente a sua immagine e somiglianza. Aveva una personalità straripante ed era un grande, instancabile, autore di canzoni."

Di sicuro, nel bel mezzo delle registrazioni, gli Spice cambiano nome. Prosegue Bron: "Volevamo qualcosa che incutesse più curiosità e mistero. Ci venne in aiuto il centenario della morte di Charles Dickens, che ricorreva proprio in quel periodo; in Inghilterra non si parlava che di lui. Scegliemmo quindi Uriah Heep, sordido personaggio del David Copperfield dickensiano."

Bron suggerisce invece la defenestrazione di Napier, ritenuto non all’altezza, così è Ollie Olsson, in prestito dalla band di Elton John, a completare le parti di batteria. Nonostante la gestazione complessa, l’album si rivela memorabile, a partire dall’orrorifica copertina di Robin Nicol, e dall’altrettanto ossianica apertura di Gypsy, autentico manifesto sonoro dei Nostri.

Hensley, seppur entrato nei ranghi troppo tardi per poter contribuire a livello compositivo, caratterizza l’intero lavoro con il suono pastoso del suo organo Hammond, tenendosi lontanissimo dallo stile classicheggiante di Rick Wakeman e Jon Lord, e ispirandosi semmai al piglio iconoclasta del maestro Keith Emerson, al quale non paragonabile per estro.

Tra le pieghe di autentiche staffilate, quali Dreammare, I’ll Keep On Trying o Walking In Your Shadow, pare di scorgere i Purple avventurarsi nella rilettura del Sabba Nero, o di riconoscere la verve sinfonica di Nice, Procol Harum e Vanilla Fudge, striata dai funambolismi all’odor di zolfo degli Atomic Rooster. Se Come Away Melinda è una soffice ballata, Lucy Blues è un tributo, invero scolastico, alla “Musica del Diavolo”.

Ma Wake Up (Set Your Sights), posta in chiusura, è un mirabile pastiche progressivo, che spazia fra una base ritmica d’impostazione jazzy e una seconda parte decisamente sognante. Le note di copertina, come all’uso dei tempi, vengono affidate a un Hensley già padrone della situazione, mentre negli USA l’album viene pubblicato con titolo (omonimo), copertina e tracklist differente (al posto di Lucy Blues c’è Bird Of Prey, apparsa sul retro del 45 giri di Gypsy).

Uriah Heep Very eavy varie

SALISBURY (Vertigo, 1971)

In Gran Bretagna Bird Of Prey, versione riregistrata, apre il secondo album. Questo torrido, sferragliante, hard rock si stempera presto in episodi più riflessivi come The Park e il fortunato singolo Lady In Black, che otterrà buoni riscontri anche in Italia: ne farà una riuscita cover Caterina Caselli (L’uomo del Paradiso), ed è difficile non riconoscerne l’influenza nella fortunata Jesahel dei Delirium. Time To Live è un incalzante tempo medio il cui riff ispirerà epigoni insospettabili (provate ad ascoltarla in sequenza con Revelations degli Iron Maiden, da PIECE OF MIND del 1983), ma la vera piece de resistance è l’ambiziosa suite di sedici minuti da cui prende il titolo.

Fummo molto impressionati dal CONCERT FOR GROUP AND ORCHESTRA dei Deep Purple – racconta Hensley – e desideravamo proporre qualcosa di simile, che potesse fondere il rock e la musica classica, l’autentica chimera che potesse farci guadagnare il rispetto della critica inglese.

Alla sua stesura partecipa un’orchestra di 26 elementi, ed è innegabile che Salisbury, la canzone, rappresenti uno dei momenti più squisitamente progressivi nella carriera degli Heep, ma nonostante i mirabili inserti jazzati (alla batteria c’è Keith Baker, fresco reduce dallo scioglimento dei Bakerloo di Clem Clempson) il brano non appare perfettamente riuscito: esattamente come nel già citato album dei Purple, è proprio la fusione tra le parti orchestrali e quelle più squisitamente elettriche a rivelarsi non del tutto centrata, quando non palesemente forzata. Anche questo disco viene pubblicato in America con differente copertina: Bird Of Prey viene inoltre avvicendata dalla più rilassata Simon The Bullit Freak.

LOOK AT YOURSELF (Bronze, 1971)

Un gruppo come gli Heep, che passa senza soluzione di continuità dai tour alla sala d’incisione, ha bisogno di una label amica, che punti decisamente su di loro. La Vertigo sta diventando troppo importante e ramificata, e non mostra troppo interesse nei miei ragazzi, quasi autorizzando la stampa a prendersi gioco di loro.

Con questa dichiarazione Gerry Bron presenta la nascita della propria etichetta discografica, la Bronze. A questo punto Gerry è non solamente manager e produttore ma ne diviene anche il discografico: in pratica, guadagna dall’attività del gruppo attraverso tre fonti diverse. Questo, assieme all’asse di ferro costituito con Hensley, provoca le prime frizioni all’interno della band. Box e gli altri si vendicano, chiamando Manfred Mann ad eseguire la parte di Moog alla fine di July Morning:

Ken si offese – ricorda Box – e ci disse che gli stavamo facendo una carognata. Credo sia stata l’unica volta che riuscimmo a imporgli una decisione, ma avere una leggenda come Mann sul nostro disco era un’occasione da non perdere.

Il brano diventerà un classico, sorta di risposta alla Child In Time purpleiana, nel corso della quale la celestiale e cristallina ugola di Byron raggiunge vette apparentemente inaccessibili. L’altra faccia del gruppo è quella più rabbiosamente hard della titletrack, alla quale partecipano i percussionisti degli Osibisa, in cui more solito le tastiere di Hensley, lungi dall’ingentilire il suono, sembrano renderlo più invasato.

Caratterizzato dall’iconica copertina a specchio, il disco regala altre perle, quali il rabbioso boogie Love Machine e l’inquietante Shadows Of Grief. Poco dopo l’uscita la sezione ritmica viene dimissionata: Hensley convoca un altro vecchio amico dei tempi dei Gods, il batterista Lee Kerslake, mente il veterano Mark Clarke, reduce dai Colosseum, avvicenda Newton.

URIAH HEEP Look At Yourself Netherlands 12

DEMONS AND WIZARDS (Bronze, 1972)

La nuova line-up dura il tempo di un battito d’ali o, più prosaicamente, quello che impiegano Hensley e Clarke a firmare The Wizard, una ballata semiacustica che diventerà uno dai brani più blasonati del nuovo album, pubblicato a stretto giro di posta. Il bassista infatti non può negarsi alla chiamata dell’antico sodale Jon Hiseman, assieme ai quali edificherà gli ottimi, ma ahimè non troppo longevi, Tempest.

A sostituirlo viene convocato il neozelandese Gary Thain, già transitato nella notevole Keef Hartley Band, il cui arrivo determina quella che, come già accennato, verrà da molti considerata la “formazione definitiva” degli Uriah Heep.

Ancora più fortunato si rivela il secondo singolo, Easy Livin, forse il più celebre dell’intera discografia, che in appena 2’36” ad alto tasso di adrenalina, caratterizzati dall’inconfondibile shuffle di Kerslake, riesce a rivelarsi funzionale sia nelle charts che nelle infuocate esibizioni sui palchi di tutto il mondo.

Valorizzato dall’immaginifica copertina del maestro Roger Dean, il disco si rivelerà uno dei più amati nella storia degli UH, saltabeccando agilmente fra il nervoso incedere di Traveller In Time, le sfumature color Porpora di Rainbow Demon, i consueti cori enfatici di Circle Of Hands e l’obliquo afrore progressivo di The Spell, che pone termine a un lavoro con i controfiocchi.

Demons and wizard gatefold japan

Questo articolo è tratto da «Prog» n.36, disponibile in tutte le edicole e sul nostro store online!

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