STYLE: la videointervista a Omar Pedrini da Classic Rock 104

Omar Pedrini | Foto: Michele De Andreis @micheledeandreis
Omar Pedrini | Foto: Michele De Andreis @micheledeandreis

Bresciano del 1967, fiero appartenente alla working class, Omar Pedrini è un artista eclettico: cantante, autore, chitarrista. E da qualche tempo è anche un professore, visto che insegna Comunicazione Musicale alla Cattolica di Milano da oltre 15 anni.

Content creator: Fabio Cormio | Intervista: Gianni Rojatti | Videomaking: Emma Corazzi | Foto: Michele De Andreis @micheledeandreis | Style: Sabrina Mellace.

Da solo Pedrini occupa pagine importanti del miglior rock italiano, impreziosite da un capitolo eroico: quello della forza nel continuare a fare musica energica e di qualità nonostante le disavventure di un “cuore malandrino”. Lo incontriamo nella sua veste più sanguigna, quella intensa e visionaria con i Timoria, band che, con Francesco Renga alla voce, è stata decisiva nella scena alternative del nostro Paese, fino allo scioglimento nei primi anni Duemila.

E ricordiamo quando nel 1993 – Les Paul al collo e muro di Marshall alle spalle – è entrato in studio di registrazione con una manciata di dischi di Soundgarden e Alice In Chains sotto al braccio e con VIAGGIO SENZA VENTO ha cambiato il suono del rock italiano.

Con VIAGGIO SENZA VENTO hai consegnato al rock italiano un suono nuovo.

La causa scatenante di quel suono va ricercata nel nostro album precedente, STORIE PER VIVERE (1992). Dopo COLORI CHE ESPLODONO (1990) e RITMO E DOLORE (1991), due dischi che ci fruttarono tanta gloria e premi, ci trovavamo di fronte il classico terzo album, quello della verità. Purtroppo però, Gianni Maroccolo oramai era entrato come parte integrante dei CSI e non poteva seguirci nella produzione artistica come aveva fatto egregiamente fino ad allora.

Se ne andava anche Giorgio Canali, assistente alla produzione da cui ho imparato davvero molto. Così accettai la proposta di Francesco Renga: far produrre il disco al suo insegnante di canto, Maurizio Zappatini, un direttore d’orchestra molto bravo che aveva diretto l’orchestra a Sanremo quando nel 1991 portammo L’uomo che ride, facendo un lavoro eccezionale. Eppure, dentro di me sentivo che – comunque – restava un direttore d’orchestra, non un produttore...

Perché accettasti?

Non so come mai. La vita è strana. Io ero considerato il decisionista dei Timoria e quindi, lasciare spazio anche a Renga mi pareva una buona idea. Contavo, inoltre, che la presenza di un bravo fonico al quale affidarci completamente, magari avrebbe sopperito alla mancanza di un produttore. Invece, allora non esistevano fonici o studi di registrazione con quelle competenze rock. Non esistevano studi specializzati in un genere: jazz, rock, punk...

Omar Pedrini | Foto: Michele De Andreis @micheledeandreis
Omar Pedrini | Foto: Michele De Andreis @micheledeandreis

Il suono finale di STORIE PER VIVERE quindi non ti piace?

È il disco con i suoni più brutti mai avuti: odio quell’album. Tanto più che ci sono pezzi come Sacrificio, Atti osceni, canzoni alle quali sono legatissimo, completamente rovinate dalla produzione. E le vendite come andarono? Male. L’album deluse anche i fan che ci rimproverarono di essere diventati pop. La cosa peggiore fu che la Universal si raffreddò. E ci spedì senza convinzione in studio a fare il quarto disco, l’ultimo previsto dal contratto. Benché ci considerassero bravi, si erano convinti che quel rock cantato in italiano non funzionasse. Così, se nei primi dischi mi chiedevano di scrivere 600 canzoni per sceglierne dieci, questa volta ci mandarono in studio abbandonati a noi stessi. In sostanza ci dissero di fare un po’ quel cazzo che volevamo.

Omar Pedrini | Foto: Michele De Andreis @micheledeandreis
Omar Pedrini | Foto: Michele De Andreis @micheledeandreis

E allora che avete fatto?

Avevo capito che dopo quel disco ci avrebbero licenziato. Perso per perso, decisi che avremmo fatto il disco della nostra vita, come volevamo noi. E quando giurai ai ragazzi che avrei scritto il nostro capolavoro, fu il tastierista Enrico Ghedi, da allora il Maestro, a pronunciare la frase che ci ispirò: “Io sto con Omar”, disse, “almeno facciamo un disco con i coglioni. E poi torniamo a lavorare in fabbrica”. Ci abbracciamo come fratelli, un momento bellissimo. Eravamo animati da questa intenzione pazzesca: il problema era non vendere? Benissimo. Avremmo inciso il lavoro più invendibile per quel momento storico: un’opera rock cantata in italiano, un concept, come negli anni 70.

Opera rock, concept album, anni 70... che riferimenti avevi in mente?

Volevo che il disco fosse una via di mezzo tra STORIA DI UN MINUTO (1972) della Premiata Forneria Marconi e TOMMY (1969) degli Who, che era il nostro album preferito. Con VIAGGIO SENZA VENTO ho scritto l’anello mancante tra questi due dischi. Lo ammetto, se non ci fosse stato Tommy, protagonista dell’opera degli Who, non ci sarebbe stato il mio Joe, personaggio che compie il viaggio raccontato nel disco.

Omar Pedrini | Foto: Michele De Andreis @micheledeandreis
Omar Pedrini | Foto: Michele De Andreis @micheledeandreis

Dimmi un aspetto ispirato a quei dischi che per te era fondamentale assecondare.

La batteria. Max Lepore ascoltava quei dischi e restava esterrefatto. “Quanto cazzo sono alte?”, mi diceva. Io gli rispondevo di farle uguali. Nei Timoria la batteria doveva essere gigantesca, doveva avere la stessa importanza della chitarra.

Quindi, uscito il disco, non siete tornati a lavorare in fabbrica?

VIAGGIO SENZA VENTO esce e in due mesi vende 50.000 copie, diventa il primo disco d’oro del rock alternativo italiano. Ok, anche i Litfiba avevano preso il disco d’oro ma a quel tempo erano già più nel mondo di Ligabue o Vasco: rock vicino al pop. La soddisfazione più grande fu che il nostro successo spinse la discografia a credere nella musica in italiano. Dopo VIAGGIO SENZA VENTO gli Afterhours registrarono HAI PAURA DEL BUIO?. Il nostro successo ha dato inizio a un decennio meraviglioso, con molta qualità.

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